Ci sono importanti novità che riguardano le pensioni ed in particolare le donne. Secondo il Messaggero, ci sarebbe un nuovo scivolo pensionistico per le donne “over 60” per sostituire Opzione donna, ormai depotenziata. Il meccanismo potrebbe essere simile a quello dell’attuale Ape sociale, che prevede il pagamento di una indennità fino al compimento del 67esimo anno di età, momento in cui sarà poi percepita la pensione. L’ipotesi, secondo quanto ricostruito da fonti governative, sarebbe al vaglio dei tecnici per la prossima manovra di bilancio e dovrà dunque passare il vaglio della stima delle platee coinvolte e delle coperture.
Il cantiere delle pensioni comunque è ufficialmente ripartito. Con le parti sociali, incontrate ieri dopo uno stop del tavolo delle trattative durato ben quattro mesi. Con i sindacati il governo non ha alzato il velo sul capitolo più delicato della riforma previdenziale: cosa ci sarà il prossimo anno dopo la fine di Quota 103, il pensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi. Troppo presto per dirlo. Sarà necessario attendere la Nota di aggiornamento del Def a settembre per capire quante risorse ci saranno per la manovra di Bilancio e quante di queste potranno essere destinate al capitolo pensioni. E il discorso vale anche per il futuro meccanismo di anticipo pensionistico per le donne. Il vecchio scivolo di Opzione Donna, ossia la possibilità di lasciare il lavoro con 58 anni di età e 35 di contributi, è stato fortemente depotenziato quest’anno. L’età per accedere al prepensionamento è salita a 60 anni, ma soprattutto è stata “circoscritta” la platea di chi ne può usufruire: le caregiver, le invalide civili in misura pari o superiore al 74% e chi è stata licenziata o è dipendente in imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.
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La volontà del ministro del Lavoro Marina Elvira Calderone di ripristinare Opzione Donna nella sua versione originale, si è infranta sul muro eretto da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia. Così i tecnici avrebbero iniziato a ragionare su una soluzione diversa per permettere alle lavoratrici, sempre su base volontaria, di poter anticipare il pensionamento. L’idea, come detto, è in qualche modo di “copiare” il meccanismo dell’Ape sociale. Si tratta di una indennità che può arrivare al massimo a 1.500 euro al mese, pagata per dodici mesi l’anno, e riservata ad alcune categorie di lavoratori che svolgono mansioni usuranti. Tra queste, tra l’altro, sono già oggi comprese anche le maestre delle scuole elementari e degli asili, oltre alle infermiere e agli altri tecnici della salute. Quindi un’estensione del meccanismo alle donne in generale potrebbe essere sostenibile. Oggi tuttavia, l’Ape sociale si può ottenere a 63 anni, mentre Opzione donna scatta a 60 anni. Bisognerà insomma capire dove fissare l’asticella dell’eventuale uscita anticipata. Sull’altro capitolo, quello della flessibilità “generale”, l’ipotesi più probabile resta il prolungamento secco per un altro anno di Quota 103.
Fino ad oggi l’Inps ha evaso 17 mila domande di prepensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi. Molto meno di 41 mila lavoratori previsti dal Tesoro nella Relazione tecnica. Quota 41 “netta” rimane l’approdo per la fine della legislatura. Ma anche qui con una possibile novità che potrebbe permettere di anticiparne il percorso e renderla più sostenibile: introdurre il ricalcolo contributivo dell’assegno. Prima in pensione, ma con meno soldi. Bisognerà però convincere la Lega che di Quota 41 ha fatto una bandiera.
Cosa dice la Cgil sulla pensione per le donne
Il ministro Calderone si è limitata a fissare sette temi da affrontare in vista della prossima manovra dettagliati poi in un cronoprogramma di incontri. I tempi sono: la flessibilità in uscita, l’allargamento della platea relativa all’Ape sociale, la previdenza complementare con un nuovo semestre di silenzio assenso, la deducibilità delle misure di welfare, la pensione contributiva per giovani e donne, e uno strumento unico per gli esodi incentivati. Di quest’ultimo, in realtà, il ministro ne ha parlato con Confindustria e le altre associazioni datoriali nell’incontro che ha preceduto il tavolo con i sindacati. Oggi ci sono in sostanza due strumenti che le imprese possono usare per “incentivare” l’esodo dei propri lavoratori: l’isopensione e il contratto di espansione. La prima è pagata totalmente dall’azienda e permette, fino al 2026, di anticipare anche di 7 anni l’uscita dal lavoro. È ovvio che si tratta di uno strumento che viene usato soprattutto dalle grandissime imprese che hanno disponibilità di fondi. Anche il contratto di espansione permette un uscita anticipata fino a 5 anni con costi a carico del datore di lavoro, ma in questo caso anche lo Stato ha degli esborsi da sostenere perché l’azienda gode di un contributo per 24 mesi pari alla NAspi. La proroga fino al 2025 di questo strumento era stata inserita nel decreto lavoro, ma poi cancellata perché sarebbe costata un miliardo. L’idea è di prorogare lo strumento e di fare in modo che sia fruibile dalle Piccole e medie imprese. I giudizi dei sindacati dopo l’incontro di ieri al ministero non sono stati positivi. Maurizio Landini della Cgil, ha parlato di un incontro «totalmente inutile».#Pierpaolo Bombardieri ha detto che «non è stato raggiunto nessun risultato concreto». Luigi Sbarra della Cisl, ha parlato di un «incontro interlocutorio», ma ha plaudito al confronto «riavviato».