Questa mattina il presidente del M5S Giuseppe Conte ha redarguito Stefano Patuanelli. Sì, avete proprio capito bene. In un’intervista al Corriere della Sera, infatti, Patuanelli aveva fatto capire di essere disponibile al ritorno del finanziamento pubblico ai partiti. Ma andiamo con ordine e leggiamo prima cosa ha scritto Conte sui social:
“Oggi sul Corriere della Sera il nostro Stefano Patuanelli esprime una sua opinione, del tutto personale, sul finanziamento pubblico dei partiti. L’ho sentito e mi ha spiegato che il suo è un discorso generale e astratto sui partiti e sulla democrazia. Mi ha chiarito, però, che non firmerebbe mai nell’Italia attuale e con la politica attuale una legge per il finanziamento pubblico dei partiti.
Lo dico senza girarci intorno: la posizione del M5S è sempre stata e resta contraria al finanziamento pubblico dei partiti. Il M5S è la dimostrazione vivente che si può fare politica senza imporre costi ai cittadini. E che si può fare politica senza svendere le proprie battaglie, mettendosi in alcuni casi al libro paga di grandi lobby o addirittura di Stati esteri, come fa qualche noto parlamentare.
Il M5S continua a mantenere un’altra idea di politica, testimoniata dai fatti: oltre 100 milioni di euro a cui abbiamo rinunciato tra rimborsi elettorali e indennità degli eletti; risorse restituite ai cittadini, alle imprese, alle scuole; taglio dei vitalizi (che ora il centrodestra ripristina al Senato) e dei parlamentari, con risparmi per le casse pubbliche e dunque per il portafogli dei cittadini.
Rispetto ad altre forze politiche noi abbiamo sempre scelto una via diversa, sicuramente più faticosa ma a cui non rinunceremo.
Continueremo a fare le nostre battaglie senza imporre nuovi costi ai cittadini ma puntando sull’autofinanziamento e, al massimo, sulla libera scelta delle singole persone di voler sostenere anche economicamente le nostre battaglie, che sono le loro battaglie. Come ad esempio con il 2×1000. Che è una scelta del singolo cittadino di contribuire all’azione di una singola forza politica, non un costo imposto dalla politica alle persone contro il loro volere.
Continueremo a fare questo, continueremo ad essere questo”.
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A tal proposito, vediamo cosa ha scritto il Corriere della Sera questa mattina: “Patuanelli rompe l’ultimo tabù M5S: «Deve tornare il finanziamento pubblico ai partiti» si legge nel titolo. E ancora: “Sa che le sue parole avranno un «effetto dirompente» ma non intende auto-censurarsi per «timore degli insulti», perché il suo pensiero è frutto di una «riflessione meditata a lungo». Secondo Patuanelli «è necessario reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti». Così il presidente dei senatori cinquestelle rompe l’ultimo tabù del Movimento. Ma soprattutto riapre il dibattito su un tema politico di prima grandezza che in realtà non si è mai chiuso e che solo per pavidità resta da anni confinato nelle discussioni riservate tra gli abitanti del Palazzo, incapaci di affrontare un problema di democrazia. E il fatto che a spezzare il silenzio sia un autorevole esponente del M5S — rispettato dai colleghi degli altri partiti — potrà forse aiutare il Parlamento a fare outing e a trovare in modo bipartisan un meccanismo trasparente che possa essere spiegato e compreso dall’opinione pubblica. Perché, dice Stefano Patuanelli, «i cittadini devono sapere quale nodo da sciogliere sta dietro il finanziamento: bisogna garantire alle forze politiche l’esercizio delle loro funzioni democratiche».
La controversa intervista di Patuanelli al Corriere della Sera
È vero che in passato «la mole di risorse pubbliche fu tale da tutelare anche chi non ne aveva diritto». Ed è altrettanto vero che i soldi dei contribuenti vennero gestiti «spesso in modo improprio e a volte in modo illegale», consentendo anche «casi di arricchimento personale»: «Su questo punto — in base alla versione del capogruppo grillino — il Movimento ha avuto un ruolo fondamentale, perché ha contribuito a scardinare il sistema legato ai costi della politica». Ma sull’onda dell’indignazione e cavalcando la (giusta) protesta popolare, insieme all’acqua sporca venne gettato anche il bambino. Si confusero i «costi della politica» con i «costi della democrazia». E non si è trattato solo di un’operazione populista. Perché le forze della Prima e della Seconda Repubblica — per raccogliere consensi — usarono strumentalmente l’argomento con una serie di referendum. Tutti poi aggirati, con escamotage tecnici, con emendamenti clandestini inseriti nei più disparati disegni di legge, con decisioni insindacabili assunte dagli uffici di presidenza delle Camere. È accaduto anche nella scorsa legislatura, a Montecitorio, quando alla guida c’era il grillino Roberto Fico: tagliati i parlamentari «per ridurre i costi della politica», non sono stati tagliati però i fondi per i gruppi, che oggi quindi percepiscono più soldi per ogni deputato. È così che finora si è cercato di tamponare il problema dei «costi della democrazia». «Tutti gli eletti — ricorda a tal proposito il capogruppo grillino — compartecipano alle spese delle forze di appartenenza con le trattenute sui loro stipendi da parlamentari. Persino i seggi hanno un costo: so che il Pd chiede cinquantamila euro a chi lo conquista».
È una corsa affannosa a trovare soldi, perché le iniziative politiche costano e sono indispensabili per comunicare con l’opinione pubblica, avere contatti con gli elettori, informarli sui programmi. Insomma, è la vita dei partiti. «E noi vogliamo garantire la vita dei partiti, che sono un presidio democratico?». Altrimenti c’è spazio solo per la politica di censo, per i partiti proprietà privata, fondati e gestiti esclusivamente da chi ha denaro da investire. Il ritorno al finanziamento pubblico è il rimedio che Patuanelli propone per affrontare il problema senza più «azioni furbesche per quanto lecite», ma «attraverso norme che evitino le distorsioni del passato». I modelli sono diversi. Il dirigente di M5S cita quello del «Parlamento europeo, che finanzia i gruppi e controlla l’uso dei fondi attraverso funzionari della struttura estranei ai partiti». Ogni soluzione porta comunque alla stessa conclusione. È una riflessione «a titolo personale» dietro la quale s’intravede un consenso diffuso. E non è un caso se Patuanelli è arrivato a persuadersi che non c’è altra strada. Perché quando gli si chiede il motivo della conversione, risponde: «L’esperienza»”.