Oggi facciamo il punto sulle pensioni. Diciamo subito che la legge Fornero resterà fino alla prossima legge di Bilancio e questa è la prima notizia. Nei prossimi sei mesi (meglio tardi che mai) il governo inizierà a mettere mano alla riforma delle pensioni. L’ipotesi alla quale l’esecutivo sta lavorando è una proroga, ancora per un anno, di Quota 103 in modo da guadagnare tempo per poter realizzare, nei prossimi anni, un cambiamento strutturale. Così nel 2024 si continuerà ad andare in pensione con le norme attuali. Gran parte delle risorse destinate alla previdenza, infatti, sono già impegnate per consentire a chi è andato a riposo di contrastare la corsa dell’inflazione che, anche se in discesa, resta elevata. Una operazione che costerà molti soldi alle casse pubbliche.
Insomma, con la manovra si cercherà di confermare Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi per uscire dal lavoro in anticipo rispetto all’età di vecchiaia e alla pensione anticipata fissata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne oltre a tre mesi di finestra mobile) e l’Ape sociale mentre si tenterà di fare qualche aggiustamento su Opzione donna dopo la stretta decisa quest’anno. Appare esclusa la possibilità di uscita con 41 anni di contributi senza altre condizioni (come chiedono i sindacati in blocco e, sul fronte politico, la Lega) perché troppo costosa mentre sembra poco conveniente per i lavoratori l’ipotesi di uscire con 41 anni di contributi ricalcolando tutto il montante precedente il 1996 con il calcolo contributivo. Potrebbe essere rafforzato il contratto di espansione che comunque può essere penalizzante per i lavoratori e dovrebbe essere previsto un intervento sulla previdenza integrativa con l’avvio di un nuovo semestre di silenzio assenso per l’iscrizione ai fondi. Occorre ricordare che le risorse finanziarie a disposizione del governo devono essere condivise con altri fronti aperti. A cominciare dalla riforma tributaria e dalla conferma del taglio al cuneo fiscale.
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Su tutto il capitolo pensioni, come detto, pesa l’inflazione. La rivalutazione rispetto all’aumento dei prezzi (5,6% l’inflazione acquisita per l’anno secondo i dati Istat di giugno), infatti, potrebbe arrivare a costare, secondo i tecnici al lavoro sul dossier, tra i 14 e il 15 miliardi, e anche per l’anno prossimo come per quello corrente, il governo ha previsto una modello a scalare per la perequazione che salvaguardi le pensioni più basse ma limiti il recupero per quelle più alte. Altro tema in campo quello di poter garantire una pensione adeguata per i lavoratori che oggi sono giovani. La precarietà dei rapporti di lavoro di questi anni ha generato buchi di contribuzione previdenziale che, se non sanati, condanneranno queste generazioni a pensioni molto basse.
Per i giovani, il tema dei 41 anni di contributi sarà superato dal fatto che saranno pochissimi quelli che potranno vantare periodi così lunghi di contributi mentre diventa centrale quello della possibilità di anticipare la pensione di vecchiaia per chi ha un importo pari ad almeno 2,8 volte il minimo e i contributi versati interamente con il calcolo contributivo. Poiché per i 30enni di oggi l’orizzonte ‘ della pensione sarà a 70 anni (con l’aumento dell’età legata all’aspettativa di vita) diventerà un tema la riduzione di quel 2,8 per rendere possibile l’anticipo di tre anni a una fascia più ampia. Secondo le stime dell’Inps una persona nata nel 1990 potrebbe andare in pensione di vecchiaia a 70 anni con 20 anni di contributi o in anticipata con 45 anni di contributi a prescindere dall’età. Ma su tutto il dossier previdenziale, come ricordato, pesa il convitato di pietra costituito dal caro vita. La ragioneria dello Stato calcola infatti che nel biennio 2023-2024 la spesa crescerà significativamente portandosi al 16,2% del Pil contro il 15,6% del 2022 per gli effetti della elevata indicizzazione delle prestazioni imputabili al notevole incremento dell’inflazione.