Milena Gabanelli ha fatto il punto, nel suo Dataroom, sull'accordo firmato da Meloni sui migranti con l'Albania.
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha fatto della riduzione degli sbarchi di migranti in Italia una delle sue priorità (a parole). I numeri però sono eloquenti: nel 2022 si contano 105.131 arrivi, nel 2023 salgono a 157.651, ma al 20 marzo 2024 si registrano solamente 8.629 sbarchi, poco meno della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo calo significativo è probabilmente il risultato del Memorandum d’intesa siglato con la Tunisia il 16 luglio 2023, in base al quale l’Unione europea ha stanziato 105 milioni di euro per il controllo delle frontiere, concedendoli al Presidente tunisino Kaïs Saïed.
Il progetto prevede di dirottare gli sbarchi dall’Italia all’Albania, con cui è stato firmato un Protocollo il 6 novembre 2023. Questo accordo prevede la costruzione di due strutture finanziate dall’Italia: una per le procedure di sbarco e identificazione nel porto di Shengjin e un’altra a Gjadër, dove i migranti rimarranno in “stato di trattenimento” in attesa dell’approvazione della domanda di asilo o del provvedimento di espulsione, seguendo il modello dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). È compito delle autorità italiane garantire la permanenza dei migranti all’interno di queste aree, impedendo loro di uscire sia durante le procedure amministrative sia al termine delle stesse. L’accordo ha una durata iniziale di 5 anni, con possibilità di rinnovo.
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Lo smistamento dei migranti avviene in acque internazionali durante le operazioni di salvataggio effettuate dalle autorità italiane anziché dalle ONG. In Albania vengono accolti solo maschi adulti provenienti da Paesi considerati sicuri, come Tunisia, Marocco e Algeria. Minoranze, donne e anziani vengono invece sbarcati in Italia, poiché per legge non possono essere ospitati nei centri albanesi.
Una volta trasferiti nei centri di Shengjin e Gjadër, la cui capienza massima è di 3.000 persone, si procede con le procedure di identificazione e valutazione dello status da parte delle nuove Commissioni territoriali. I tempi sono definiti dalle nuove “procedure accelerate di frontiera” introdotte dal decreto Cutro, che prevedono un periodo massimo di 28 giorni per l’identificazione e la verifica dei requisiti per l’asilo. In caso di diniego, è previsto un ricorso entro 14 giorni, seguito da una decisione entro ulteriori 7 giorni da parte del giudice. Chi ottiene il diritto di asilo può entrare regolarmente in Italia, mentre gli altri devono essere rimpatriati, operazione che avviene comunque dall’Italia.
Una volta trasferiti nei centri di Shengjin e Gjadër, la cui capienza massima è di 3.000 persone, si procede con le procedure di identificazione e valutazione dello status da parte delle nuove Commissioni territoriali. I tempi sono definiti dalle nuove “procedure accelerate di frontiera” introdotte dal decreto Cutro, che prevedono un periodo massimo di 28 giorni per l’identificazione e la verifica dei requisiti per l’asilo. In caso di diniego, è previsto un ricorso entro 14 giorni, seguito da una decisione entro ulteriori 7 giorni da parte del giudice. Chi ottiene il diritto di asilo può entrare regolarmente in Italia, mentre gli altri devono essere rimpatriati, operazione che avviene comunque dall’Italia.
Il problema dei rimpatri
Tuttavia, il processo di rimpatrio si scontra con diverse difficoltà. Poiché richiede un accordo con il Paese d’origine, in media vengono rimpatriati solo 400 migranti al mese. Questo porta a un sovraffollamento dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio italiani, che hanno una capacità effettiva inferiore ai 1.359 posti sulla carta, a causa di lavori di ristrutturazione in corso. Una possibile alternativa è lasciare i migranti nei centri di detenzione albanesi in attesa di espulsione, ma senza nuovi accordi, solo poche centinaia di persone possono essere riportate in Italia. Questo implica che, alla fine dei 18 mesi di trattenimento massimo previsti, i migranti che non possono essere espulsi tornano in Italia come clandestini.
La Corte di giustizia europea dovrà valutare se il “trattenimento” previsto dalle nuove “procedure accelerate di frontiera” sia conforme ai diritti umani garantiti dalle norme europee. Nel frattempo, il governo italiano continua con i suoi piani, nonostante le incertezze giuridiche. I costi di questo processo sono notevoli: 653,5 milioni di euro in cinque anni, che includono la costruzione e la gestione delle strutture, le spese per il personale, i trasporti e molte altre voci di spesa.