Depistaggio nel Caso Borsellino: Coinvolgimento di Uomini delle Istituzioni – La rivelazione shock della figlia

Fabio Trizzino, avvocato della famiglia del magistrato Paolo Borsellino e marito di Lucia Borsellino, ha dichiarato che il depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio “poteva essere compiuto solo da uomini appartenenti alle istituzioni”. Questa affermazione si basa su elementi di fatto imprescindibili emersi nel corso degli anni.

Durante un’intervista alla trasmissione ‘L’inviato speciale’ di Radio Uno Rai, Trizzino ha illustrato uno scenario istituzionale definito “terrificante” dagli stessi giudici. Ha evidenziato come una serie di condotte anomale abbiano coinvolto uomini delle istituzioni, sostenendo che “chi ha sviato le indagini fin dai primissimi momenti sono stati uomini dello Stato”.

Trizzino ha inoltre sottolineato che probabilmente Paolo Borsellino, nel periodo immediatamente precedente al suo assassinio, stava indagando su qualcosa che preoccupava uomini delle istituzioni. Questo potrebbe aver motivato la necessità di far apparire l’attentato come una pura vendetta per l’esito del Maxiprocesso. Secondo il legale, le indagini di allora ignorarono deliberatamente l’analisi delle attività del giudice Borsellino e della sua ‘corsa contro il tempo’, poiché egli aveva forse intuito le ragioni dell’attacco, riconnettendole non solo a una vendetta, ma anche a indagini in corso che andavano immediatamente bloccate.


le parole della figlia

Mio padre è stato oltraggiato anche da morto. E non lo meritava. Perché più va avanti questa storia, più ci rendiamo conto di quanto le indagini siano state condotte male e quanto questo depistaggio sia riuscito in fondo, perché ci stanno volendo 32 anni a probabilmente non saranno soltanto 32 anni per riuscire quantomeno a fare una ricostruzione storica di quel periodo così buio”. Così Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso in via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio 1992, insieme a cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, in un’intervista in esclusiva a Rita Pedditzi per il programma “Inviato Speciale”, su Radio 1 Rai. “ Continua…

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 “Nei primi tempi abbiamo veramente deposto tutta la nostra fiducia sulle istituzioni perché ritenevamo e siamo tuttora convinti che difronte ad eccidi di questo genere l’intero Stato italiano deve indignarsi, non può rimanere inerme: deve mettere in atto tutte le sue forze migliori per riuscire a capire quello che realmente è successo a distanza di soli 57 giorni dalla strage di Capaci. Eppure dopo 32 anni abbiamo assistito a uno scempio della verità perché quello che poi si è configurato come il depistaggio più grave della storia della nostra Repubblica, in realtà è tuttora in atto e non siamo ancora nelle condizioni di poter capire quello che è realmente successo”. Infine un ricordo del padre: “ Continua

“Mio papà è la persona che mi ha dato l’amore più grande e incondizionato che io potessi ricevere. La cosa che posso dire di lui è che ci diceva ‘grazie’, così come lo diceva anche a mia nonna. Pensare che un padre dica grazie ai propri figli è qualcosa di straordinario e il che significa che era un uomo che aveva perfettamente la consapevolezza dei propri limiti, che era un uomo umile e che tutto avrebbe immaginato, tranne che dovere assurgere a persona straordinaria per il semplice fatto di avere fatto il suo dovere”.

Queste dichiarazioni aprono nuovi interrogativi su quanto accaduto e sugli interessi in gioco che potrebbero aver influenzato il corso della giustizia.

L’attentato è il depistaggio Interviste tratte dallo speciale de INVIATO SPECIALE trasmissione di RAI Radio 1 a cura di Rita Pedditizi:

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