Il giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore del programma televisivo Report, ha recentemente espresso dure critiche nei confronti del Ministro Adolfo Urso. Le tensioni tra il noto programma d’inchiesta e il governo non sono una novità, ma negli ultimi mesi il confronto sembra essersi intensificato, con l’incremento delle denunce e delle querele intentate da figure politiche contro i giornalisti.
Durante un incontro dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) tenutosi a Reggio Calabria, Ranucci ha aperto il suo discorso con una critica alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, un tema storicamente controverso e legato al piano della loggia P2. Ma il focus principale del suo intervento è stato il giornalismo d’inchiesta, la sua funzione di controllo sul potere e, in particolare, la libertà di stampa in Italia.
Secondo Ranucci, negli ultimi anni anche il mondo dell’informazione ha subito una perdita di fiducia, alimentata, a suo dire, da una percezione distorta del concetto di pluralismo e indipendenza. In Rai, spiega Ranucci, l’idea di pluralismo è spesso interpretata come una “rappresentazione delle varie voci”, senza necessariamente premiare la vera indipendenza del giornalista. “In Report, sappiamo cosa vuol dire indipendenza: significa fare giornalismo critico senza guardare ai colori politici, essere il cane da guardia della democrazia”, ha dichiarato. A suo avviso, un governo consapevole e aperto dovrebbe apprezzare questo ruolo di controllo e inchiesta del giornalismo.
Uno dei punti centrali del discorso di Ranucci è stato il record mondiale detenuto dall’Italia per il numero di denunce avanzate da politici contro giornalisti. Ranucci ha sottolineato come questa situazione, segnalata anche da associazioni internazionali che monitorano la libertà di stampa, rappresenti una grave minaccia per l’informazione libera e indipendente. Parlando specificamente di Report, Ranucci ha ricordato che la trasmissione è stata bersaglio di molteplici querele, tra cui quelle intentate dai figli del Presidente del Senato La Russa e dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. Un caso ancora più emblematico riguarda, però, il Ministro Urso.
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Urso, Ministro che ha il potere di firmare il contratto di servizio con la Rai, ha intentato tre querele contro Report e il suo conduttore, di cui due in sede penale e una civile. Ranucci ha spiegato che questa situazione è particolarmente contraddittoria, poiché il contratto di servizio prevede la valorizzazione del giornalismo d’inchiesta, eppure proprio Urso, che dovrebbe sostenere tale attività, è stato il primo a denunciare i giornalisti di Report. Questa apparente incongruenza è stata da lui definita un paradosso che mette in evidenza il difficile equilibrio tra il potere esecutivo e la libertà di stampa.
Ranucci ha commentato che “Urso non è un ministro qualsiasi” e che la sua posizione nella gestione della Rai e delle sue direttive dovrebbe garantire e promuovere il giornalismo indipendente. Tuttavia, le denunce del Ministro nei confronti di Report e del giornalista Giorgio Mottola, che aveva realizzato un’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose nei partiti, sembrano andare nella direzione opposta, manifestando un tentativo di repressione dell’inchiesta giornalistica.
Il giornalista di Report ha voluto ricordare l’importanza del giornalismo come “sguardo sul potere” e non come “vetrina del potere”, una differenza sottile ma essenziale per garantire una stampa realmente libera e capace di offrire un contributo critico alla democrazia. Ranucci ha concluso il suo intervento sottolineando come l’Italia si trovi di fronte a una sfida complessa: mantenere l’indipendenza della stampa in un contesto dove le istituzioni politiche sembrano sempre più inclini a controllare il racconto mediatico e a minacciare con querele i giornalisti che si occupano di temi scomodi.
Il rapporto tra Report e il Ministro Urso rappresenta un caso esemplare di questa tensione crescente, dove l’obiettivo dichiarato di valorizzare il giornalismo d’inchiesta si scontra con le azioni di denuncia verso chi effettivamente lo pratica. La vicenda si inserisce in un contesto più ampio di dibattito sulla governance della Rai, con il partito Fratelli d’Italia (FdI) che recentemente ha dichiarato di non considerare una priorità la modifica delle regole di governance della televisione pubblica.
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