Vi riportiamo l’analisi di Elena Basile, ex ambasciatrice italiana in Belgio, sempre portatrice di punti di vista inediti e interessanti.
Con la possibilità di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, l’Europa e il mondo si trovano a riflettere su cosa cambierà realmente nella politica americana. Nonostante la sua figura controversa, è probabile che la politica estera e interna degli Stati Uniti sotto una nuova presidenza Trump si riveli meno diversa da quella attuale di quanto si possa immaginare. La stampa mainstream potrebbe opporsi a Trump come “il cattivo” delle narrazioni dominanti, ma il sostegno a determinate politiche, come quelle di Israele o dell’industria bellica, potrebbe proseguire senza interruzioni.
Trump e la retorica anti-élite
L’attrattiva di Trump risiede nella sua capacità di parlare direttamente al popolo, soprattutto a quella classe lavoratrice e media che si sente emarginata e tradita dalle élite. In particolare, il supporto da parte di figure come Elon Musk e altri magnati della Silicon Valley rappresenta una differenziazione netta dal classico mondo della finanza internazionale. Questi alleati, frustrati dagli sprechi nel complesso militare-industriale, vedono in Trump una via per ridurre i costi legati a conflitti come quello ucraino, un risparmio che gli permette di concentrarsi su investimenti tecnologici interni. È anche importante notare come l’AIPAC e i cristiani sionisti rappresentino un altro pilastro di sostegno per Trump, garantendo un flusso di finanziamenti per promuovere una politica filo-israeliana aggressiva.
Politica estera: il Medio Oriente come centro di attenzione
La presidenza Trump potrebbe portare avanti molte delle stesse politiche del Partito Democratico, ma con un approccio più diretto e privo di retorica moralista. La questione israelo-palestinese, per esempio, potrebbe essere trattata in modo da assecondare apertamente i piani di espansione di Israele. Si prevede che il sostegno di Trump a Netanyahu e alla sua visione di una “Grande Israele” includa anche una strategia di escalation militare contro Libano e Iran. La pressione su Teheran potrebbe portare a un nuovo capitolo di conflitto nella regione, con attacchi mirati a basi militari iraniane e un tentativo di imporre un freno alle ambizioni nucleari di Teheran, cercando nel contempo di stabilire limiti accettabili con Russia e Cina. Questi attacchi, tuttavia, rischiano di trasformare ulteriormente il Medio Oriente in un teatro di insicurezza.
L’Europa, intanto, potrebbe trovarsi di fronte alla necessità di finanziare i costi della crisi ucraina, dato che una presidenza Trump potrebbe cercare una mediazione con Mosca che coinvolga la creazione di un’Ucraina neutrale. Questo, se da un lato segnalerebbe un cambiamento strategico, dall’altro implicherebbe che l’Europa si faccia carico delle conseguenze economiche e sociali del conflitto.
Politica interna: il “nuovo” che assomiglia al “vecchio”
Anche sul fronte interno, la presidenza Trump potrebbe mantenere molte delle politiche attuali, pur presentandole con una “bella copia” dai colori più netti. La riduzione delle tasse per i ricchi e le politiche protezionistiche continuerebbero, riflettendo una visione economica poco incline alla globalizzazione e focalizzata su un’industria americana che fatica a competere. Sul piano sociale, ci potrebbero essere limitazioni alle libertà civili, come i diritti riproduttivi delle donne, che già in alcuni Stati sono stati ridotti con leggi contro l’aborto. Tuttavia, le pillole abortive resterebbero accessibili, mitigando l’impatto delle politiche più restrittive.
Uno dei paradossi principali della società americana è che, al netto di queste restrizioni, persiste una certa libertà sessuale, soprattutto nel contesto delle oligarchie liberali. Basile sottolinea la mercificazione del corpo della donna e un falso femminismo che, piuttosto che emancipare, spesso sottomette a logiche di mercato. Questa dinamica si manifesta in modo simile tanto in America quanto in Europa, segnalando la distanza dalle aspirazioni di uguaglianza autentica.
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L’Europa e il dilemma della subordinazione
L’Unione Europea si trova a un bivio simile a quello del 2016. I leader europei, anziché promuovere un’autonomia strategica, sembrano inclini a subordinarsi alla politica americana, cercando l’approvazione del nuovo presidente e supportando il riarmo sotto la guida della NATO. La burocrazia europea, dominata da figure come Ursula von der Leyen e influenzata dai Paesi baltici e nordici, potrebbe incrementare i fondi per la difesa, continuando a dipendere dagli Stati Uniti. Questo, però, non porta a una vera autonomia strategica, ma consolida la posizione dell’Europa come braccio armato della NATO.
L’analisi di Basile termina con una riflessione amara: mentre l’Europa dovrebbe aspirare a una politica indipendente e a una reale autonomia, è probabile che prosegua la sua subordinazione agli interessi americani, almeno finché si limita all’essere e non al dover essere.
In sintesi, il ritorno di Trump potrebbe rappresentare una svolta più estetica che sostanziale nella politica americana. Dietro la retorica schietta e la figura “non convenzionale” del presidente, gli interessi strategici della superpotenza americana, sia in politica interna sia estera, sembrano destinati a seguire un copione già noto, rinforzando quella stessa ipocrisia di cui la classe dirigente accusa i suoi avversari.