Durante la puntata di “Omnibus” su La7 del 19 dicembre 2024, il magistrato Nicola Gratteri ha offerto una disamina lucida e penetrante sul tema della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Interrogato sulla questione, Gratteri non si è sottratto, evidenziando i rischi impliciti che tale proposta comporta per l’indipendenza della magistratura e, di conseguenza, per la tenuta democratica del Paese.
La cornice della discussione
La proposta di separare le carriere tra pubblico ministero e giudice è uno dei punti cardine delle riforme promosse dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Essa si inserisce in un contesto più ampio di riforme giudiziarie che puntano a ridisegnare il funzionamento della giustizia italiana. Tuttavia, come sottolineato da Gratteri, dietro a questo tema si cela una posta in gioco molto più alta: il rischio di subordinare l’azione giudiziaria agli interessi del potere politico.
Gratteri ha infatti ricordato come la magistratura debba essere percepita come un baluardo di autonomia e imparzialità. Eventuali riforme che compromettono tale autonomia minano anche la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto.
Una separazione già esistente nei fatti
Uno degli argomenti centrali di Gratteri è che una separazione delle carriere esiste già, seppur non formalmente. “Se io sono pubblico ministero a Napoli e voglio diventare giudice, devo trasferirmi in un’altra regione,” ha spiegato il magistrato. Questo dimostra come il sistema già preveda delle misure volte a garantire una distanza tra le due funzioni. Eppure, secondo Gratteri, la proposta di una separazione formale nasconde un obiettivo diverso e più subdolo.
Il vero obiettivo: controllo politico della magistratura
Gratteri ha esposto la sua preoccupazione principale: la separazione delle carriere potrebbe essere solo il primo passo verso un controllo politico più stringente sulla magistratura, in particolare sui pubblici ministeri. La sua analisi si spinge oltre, evidenziando come il passaggio successivo potrebbe essere la subordinazione dei pubblici ministeri all’esecutivo. Questo scenario prefigura un sistema in cui le priorità dell’azione penale verrebbero dettate direttamente dalla politica, compromettendo irrimediabilmente la libertà di indagine e di decisione.
Gratteri si è mostrato particolarmente critico verso l’idea che il pubblico ministero e il giudice, collaborando in maniera professionale, compromettano la loro indipendenza. “Se è un problema che pubblico ministero e giudice condividano una macchina per raggiungere un luogo, allora perché non è un problema che un giudice ceni con un avvocato di lusso?” ha osservato con ironia, mettendo in luce la fallacia di molti degli argomenti a favore della riforma.
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La percezione pubblica e il rischio della delegittimazione
Il magistrato ha anche posto l’accento sulla responsabilità della magistratura nel preservare la propria credibilità agli occhi dei cittadini. Gratteri ha ricordato episodi che hanno minato tale credibilità, come gli scandali legati al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), che hanno dato l’impressione di un sistema autoreferenziale e conservativo. Tuttavia, ha ribadito che la soluzione non è nel sottoporre la magistratura alla politica, bensì nel rafforzare i meccanismi interni di trasparenza e accountability.
Una battaglia che riguarda tutti
In conclusione, Gratteri ha lanciato un monito: “Questa non è una questione tecnica per addetti ai lavori, ma una battaglia che riguarda la democrazia nel suo complesso.” Ha invitato la cittadinanza e la classe politica a riflettere sui rischi di un sistema giudiziario subordinato agli interessi del potere esecutivo. In un momento storico in cui la fiducia nelle istituzioni è già fragile, una riforma come la separazione delle carriere potrebbe avere conseguenze devastanti sul rapporto tra Stato e cittadini.
La separazione delle carriere è quindi molto più di una questione tecnica: è una scelta di visione sul ruolo della giustizia in una società democratica. Le parole di Gratteri risuonano come un appello a vigilare su ogni passo che potrebbe compromettere l’indipendenza della magistratura, il cuore pulsante dello Stato di diritto.
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