Non arrivano buone notizie per tutti coloro che aspettano novità dal reddito di cittadinanza, anzi. Le modifiche apportate al sussidio da parte del governo Meloni rappresentano batoste pesanti per moltissimi cittadini. In questo articolo vi sveleremo i risultati di un recente studio condotto da alcuni autorevoli economisti. Ecco cosa sta succedendo.
In sostanza il nuovo Reddito di cittadinanza vedrà dimezzata la platea dei potenziali beneficiari. È vero che lo Stato risparmierà un terzo della spesa (si parla di 2,5 miliardi all’anno), ma è altrettanto vero che si aggrava la povertà in Italia, riportando indietro di cinque anni il nostro sistema di welfare. Queste le conclusioni dello studio sull’impatto dell’Assegno di inclusione (Adi) che dal primo gennaio 2024 prenderà il posto del Reddito di Cittadinanza. Studio firmato dagli economisti Massimo Aprea, Giovanni Gallo e Michele Raitano e pubblicato sulla rivista Eticaeconomia.
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Chi lo percepirà e chi no
Solo un quarto degli esclusi dal Reddito viene recuperato, sempre che ne faccia ricorso, dal Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) che però non è una forma di reddito minimo, ma un’indennità da 350 euro al mese, erogata mentre si frequenta un corso di formazione e al massimo per 12 mesi non ripetibili. Gli autori dello studio ipotizzano che il Supporto vada alla metà di chi può prenderlo e che questi seguano un corso per sei mesi: una doppia ipotesi molto generosa, sia per la durata del corso che per la percentuale di richiedenti. Questo però significa che la riforma Meloni tende via via nel tempo, dal secondo anno, a lasciare senza alcun sostegno tutti gli esclusi dal Reddito attuale, visto che i 350 euro sono una tantum.
Ma come siamo arrivati a questo? “Minando in modo preoccupante il perseguimento dell’universalismo selettivo, alla base dei redditi minimi di tutti i Paesi europei”, si legge nello studio. Si passa cioè da un sostegno per tutte le famiglie che soddisfano determinati requisiti (di reddito, patrimonio e residenza) a un altro “categoriale”: solo per nuclei con figli minori, over 60 o disabili. Quelli privi di queste tre categorie – single, coppie o famiglie i cui componenti hanno tra 18 e 59 anni – sono fuori. E al massimo possono aspirare all’indennità da 350 euro.
Il governo, nella versione definitiva del decreto Lavoro non parla più di “occupabili” e “non occupabili”. Rendendo, se possibile, ancora più accentuata la cernita “categoriale” che decide chi è dentro e chi è fuori, a prescindere dalle reali attitudini ad uscire dalla condizione di disagio e povertà. “Gli esempi di iniquità orizzontale e di effetti paradossali si moltiplicano”, osserva Michele Raitano. “Un figlio adulto che vive con un genitore di 60 anni può ricevere l’Adi finché il reddito annuo è di 8.400 euro, mentre una coppia di licenziati di 55 anni con un reddito nullo non riceve alcun sostegno, a parte il Supporto per un tempo”.
Ma non finisce qui, perché il moltiplicatore che determina l’assegno e anche il livello di reddito per assicurarselo andrà a colpire i single, le mamme con bimbi sopra i tre anni, famiglie con minori in affitto, figli maggiorenni. L’adulto “senza carichi di cura” – dice il decreto – che quindi non si occupa di minori sotto i tre anni, disabili o anziani, vale zero nella scala.
In altre parole, “Una famiglia con due genitori e un minore e un reddito annuo di 7.000 euro perde l’Adi quando il figlio compie 3 anni”, si legge nello studio. Questo perché la mamma vale zero e il coefficiente scende da 1,55 a 1,15. “Una famiglia di 5 componenti, due genitori e tre figli, con 10.200 euro di reddito perde l’Adi quando il primo figlio diventa maggiorenne e la scala cala da 1,8 a 1,7”.