Anche oggi è un’altra giornata importante di cronaca e come al solito non ci sono buone notizie per alcuni politici e vip importanti. Sarebbero una trentina, secondo l’AGI, le cessioni di sostanza stupefacente avvenute tra lo chef Mario Di Ferro, posto oggi agli arresti domiciliari, e l’esponente di Forza Italia Gianfranco Miccichè. È quanto emerge dal provvedimento emesso dal gip di Palermo, Antonello Consiglio che ha disposto la misura cautelare su richiesta della procura di Palermo nei confronti di sei persone, compreso Di Ferro, gestore di Villa Zito e volto noto della mondanità palermitana.
L’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, però, non risulta indagato. Lo era, invece, Di Ferro in un altro procedimento per cui sono state avviate le intercettazioni a suo carico. È lo stesso gip a sostenerlo nella misura cautelare eseguita dagli investigatori della Squadra mobile. Sono oltre 68 i contatti registrati tra Mario Di Ferro e Giovanni “Gianfranco” Miccichè nel periodo in cui il primo è stato intercettato, a partire da novembre 2022 al 20 gennaio 2023 e poi successivamente con il secondo filone di indagine su cui avviene ora la parziale discovery.
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Miccichè, secondo quanto appurato dalle indagini, si sarebbe recato diverse volte personalmente da Di Ferro per ritirare quanto richiesto, sia presso l’abitazione privata dello chef sia presso Villa Zito, a bordo di una Audi scura con lampeggiante e autista, venendo anche immortalato negli obiettivi degli investigatori della Mobile. Anche se lui oggi assicura: “Escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso”. Lo chef Di Ferro era già sotto indagine in un altro procedimento poiché sarebbe stato contattato da un esponente di spicco di Cosa nostra per un appuntamento riservato e su cui vige ancora il segreto investigativo. “L’attività consentiva – si legge – di disvelare come il predetto, gestore di Villa Zito a Palermo, fosse altresì il protagonista di una frenetica attività di vendita di cocaina in favore di una selezionata clientela e avesse avviato in quel luogo un centralissimo ed esclusivo punto di spaccio di droga”.
Spiega la gip: “Per l’ordinazione di stupefacenti e l’indicazione del numero di dosi è stato spesso utilizzato un banale linguaggio in codice, mediante il riferimento al numero di ‘giorni’ in cui l’assuntore Miccichè si sarebbe dovuto recare fuori sede”. Dove i giorni sarebbero stati le quantità di stupefacente richiesto.
Le intercettazioni di Miccichè pubblicate da Repubblica
Quando i poliziotti hanno iniziato a sentire la voce di Miccichè durante le intercettazioni del telefonino dello chef Di Ferro, sono apparsi subito strani e illogici alcuni dialoghi. “Quanti giorni sono?”, diceva Mario Di Ferro. Risposta di Micciché: “Va bè, uno poi, che cazzo ne so io”. Di Ferro riprendeva: “Eh no, perché ti devo”. Miccichè: “E va bè tu esagera”. Poi, quando lo chef gli chiedeva della partenza di cui il politico gli aveva parlato (“Quanti giorni ti fermi fuori?”), la riposta era questa : “Dove?”. Lo chef, imbarazzato, insisteva al telefono: “Tu oggi sei a Catania no?”. Risposta di Miccichè: “Io?”. Dopo ogni telefonata con Miccichè, lo chef chiamava poi gli spacciatori, i fratelli Salamone.
Un’altra volta – era il 3 marzo di quest’anno – Di Ferro era a Piano Battaglia: “Ci vediamo domani – disse a Miccichè – ora ti mando una bella foto di dove sono per ora, è pieno di neve”. Miccichè rispose ridendo: “Anche a casa mia? Hai notizie anche a casa mia?”
Le intercettazioni fra Di Ferro e Miccichè sono iniziate per caso il 17 novembre 2022: i poliziotti ascoltavano lo chef, emerso in un’indagine di mafia. Poi, l’inchiesta ha preso tutta un’altra strada.
Nella prima conversazione intercettata, il 18 novembre dell’anno scorso, Miccichè telefonava a Di Ferro alle 22,23 per dire che l’indomani sarebbe andato a Milano per cinque giorni. E poi chiedeva: “A che ora passo da te?”. La risposta fu: “All’una”.
Un’ora dopo, lo chef chiamava lo spacciatore Salvatore Salamone dicendo: “Vedi che domani all’una da me, vedi che siamo dieci a tavola, seduti”. Salamone precisava: “Va bè domani ci chiami tu, io non ci sono con la mattinata”. Un’ordinazione per dieci dosi: cinque per Miccichè, cinque per altri clienti.
Il giorno dopo, lo chef chiamò il fratello di Salvatore Salamone, Gioacchino, sulla stessa utenza di famiglia (e di affari) per sollecitarlo all’appuntamento: “All’una meno un quarto, puntuale da me al bar, va bene?”. E Salamone rispose: “Quello che gli hai detto a mio fratello?”. Di Ferro invitava a fare presto: “Se io non sono arrivato, in caso dai a Piero, parla con Piero… che io sono a una cresima”. Alle 13,55, la polizia vide arrivare Miccichè a Villa Zito, a bordo dell’auto di servizio. Si fermò fino alle 15,20.