“Berlusconi? C’è una cosa che giornali e tv non vi stanno dicendo…” la denuncia del giornalista del Fatto – IL VIDEO

“Naturalmente oggi è il momento del cordoglio, ma c’è un Berlusconi di cui giornali e tv non vogliono parlare”. Inizia così il video del giornalista Gianni Barbacetto pubblicato sui canali de il Fatto Quotidiano. “Era pregiudicato per un reato grave, frode fiscale. Per anni, almeno dalla metà degli anni Settanta al 1992, ha finanziato Cosa Nostra. E da presidente del Consiglio non viene ricordato per nessuna riforma, se non per i tentativi di salvare la sua azienda e se stesso dai processi”.

Parole forti, insomma, che ci riportano a un mistero che riguarda Berlusconi che dura da trent’anni. Dovete sapere, infatti, che negli anni Settanta Silvio Berlusconi era terrorizzato dai sequestri di persona e aveva chiesto protezione a Cosa nostra. Era così preoccupato che non pensò affatto di rivolgersi alle forze dell’ordine, ma al suo amico Marcello Dell’Utri, che a sua volta gli portò in casa il più importante dei “padrini” palermitani: Stefano Bontate.

E Berlusconi gradì molto quella visita e la soluzione che Cosa nostra gli prospettò. E da quel momento, come raccontano i collaboratori di giustizia, il legame “protettivo” è andato avanti per anni. Un “servizio” di cui il futuro presidente del Consiglio non si è “lamentato”, o per meglio dire, che non ha mai denunciato.

I fatti sono emersi solo con le inchieste degli ultimi trent’anni per mafia, riciclaggio e stragi in cui è stato coinvolto perché il suo legame con alcuni mafiosi sarebbe andato avanti – secondo i pm – fino alla vigilia del suo ingresso in politica, tanto da indagarlo come mandante delle stragi di Roma, Milano e Firenze. In passato quando gli investigatori e i magistrati sono andati a interrogarlo a Palazzo Chigi, perché era il capo del governo in carica, Berlusconi si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Dunque, Berlusconi si lamenta dei rapimenti nel Milanese. Spiega di essere preoccupato e come dice l’ex mafioso Francesco Di Carlo che è stato testimone dell’incontro, Bontate rassicura l’imprenditore: “Lei ha qui una persona che può garantire, Marcello (Dell’Utri, ndr) che è vicino a noi… le mando una persona…”. Il riferimento a chi sarà inviato era a Vittorio Mangano. Bontate resta colpito dal futuro premier, e gli chiede: “Ma perché non viene a costruire a Palermo? Siamo a disposizione”.

Rimedia un sorriso e una battuta: “Ma devo proprio venire a Palermo? Già ho qui i siciliani…”. Mangano viene assunto da Berlusconi fra il 1973 e il 1974. È un mafioso anomalo. Paolo Borsellino, in una lunga intervista rilasciata a giornalisti francesi poco prima dell’attentato di via D’Amelio, lo indica come l’uomo scelto da Cosa nostra per tenere i rapporti con i grandi gruppi industriali di Milano. Altri testimoni lo descrivono come una persona dal “carattere conviviale che amava i bei vestiti e i cibi raffinati”.

I rapporti tra Berlusconi e Cosa Nostra

E così l’uomo fidato di Bontate, senza alcuna esperienza nella gestione di ville o stalle di cavalli, nel giro di un paio di mesi si trasferisce ad Arcore con tutta la famiglia con il ruolo ufficiale di stalliere. Accompagna i figli di Berlusconi a scuola. Dirige i lavori. Seleziona gli operai.

Per gli inquirenti il rapporto tra Cosa nostra e il gruppo imprenditoriale del Cavaliere nasce seguendo uno schema classico: da una parte la mafia fa la voce grossa, compie attentati (ai danni di una palazzina di Berlusconi nel centro di Milano), pianifica o minaccia sequestri di persona. Dall’altra offre protezione e in cambio riceve “regali” in denaro.

E così, come ha raccontato ai pm Angelo Siino, il massone che gestiva gli appalti per conto di Riina, nella seconda metà degli anni Settanta Bontate ritorna a Milano. Questa volta per proteggere Berlusconi dalla ‘ndrangheta. All’ombra della Madonnina Bontate incontra “personaggi calabresi, che dovevano fare da tramite con boss di Locri”. Dopo un duro confronto verbale tra clan, la questione viene appianata. Il cavaliere versa ogni anno 50 milioni di lire nelle casse di uno dei mandamenti mafiosi di Palermo. Per i giudici il collegamento che si era creato fra Berlusconi e Bontate ha “rafforzato” la mafia. Il rapporto “tra il gruppo Fininvest e Cosa nostra, dopo l’uccisione di Bontate, e il passaggio della posizione di comando a Riina” prosegue e si evolve.

Ci sono domande che lo hanno inseguito per più di trent’anni. Sono i “buchi neri” della sua vita professionale, affiorati durante lo sviluppo delle inchieste, in particolare le stragi del 1993, in cui Berlusconi e Dell’Utri sono indagati. Adesso la morte dell’ex presidente del Consiglio estingue il reato. Gli inquirenti che già alla fine dello scorso anno erano pronti a inviargli un avviso “a comparire”, ipotizzano che nelle casse di alcune società potrebbe essere stato versato denaro proveniente dai boss.

A incastrarsi con quei fatti sono arrivati nei mesi scorsi le dichiarazioni del mafioso Giuseppe Graviano che ai pm ha detto di aver incontrato Berlusconi il mese prima dell’annuncio della sua “discesa in campo”. Il capomafia sostiene di averlo incontrato a Milano e di aver parlato di affari, e si sarebbero lasciati fissando un successivo incontro per definire un “accordo miliardario”. Secondo il boss doveva essere formalizzato un patto economico che si basava su una “carta” privata firmata alcuni anni prima. L’appuntamento però saltò perché Giuseppe Graviano venne arrestato il 27 gennaio 1994 a Milano. I pm di Firenze chiedono a Graviano: “Ci dica, Berlusconi è stato il mandante delle stragi?”. Risposta: “Non lo so se è stato lui”. Segue un lunghissimo “omissis” nel verbale.

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