Cellulare figlio La Russa, figuraccia di Gasparri ma la procura lo smentisce

Si continua insistentemente a parlare del brutto caso del figlio di Ignazio La Russa. Come vi avevamo anticipato anche nei nostri articoli, la procura aveva chiesto l’autorizzazione al Senato a procedere con il sequestro della sim del cellulare di Leonardo Apache La Russa, dato che era intestata al padre. Sull’argomento è intervenuto anche Maurizio Gasparri di Forza Italia: “La Procura si deve preoccupare di non andare contro la Costituzione: si deve muovere nel solco delle leggi e quindi valutare se chiedere un’autorizzazione o meno”, ha detto all’AdnKronos il vicepresidente del Senato.

L’esponente di Forza Italia ha fatto una piccola gaffe, però: “Ci sono una serie di prerogative che esistono e che vanno rispettate, come l’inviolabilità della corrispondenza. A me spesso capita di utilizzare Whatsapp per parlare con ministri, presidenti di Commissione, uffici parlamentari, agenzie di stampa. Il tema è: cosa è la corrispondenza? Il concetto di corrispondenza e di inviolabilità si estende. Per cui, la Procura fa bene a muoversi se si muove con circospezione”. Per poi aggiungere: “Se c’è uno scambio tra il figlio di La Russa e gli amici, è un conto. Ma cosa accadrebbe se la Procura dovesse imbattersi, faccio un esempio, in uno scambio tra il presidente del Senato e il presidente della Repubblica?”.

In realtà la Procura di Milano, con la pm Rosaria Stagnaro e l’aggiunto Letizia Mannella, nel decreto con cui si dispone il sequestro del cellulare di La Russa jr (consegnato dal ventunenne in questura) ha già fissato dei paletti e anche l’analisi del dispositivo dovrà seguire delle traiettorie ben precise, frutto delle leggi, della Costituzione, delle pronunce della Cassazione.

Il primo paletto è ormai chiaro. Nelle mani degli investigatori c’è soltanto il telefonino – senza la scheda sim, intestata allo studio legale del padre – di Leonardo La Russa. La procura ha percorso questa strada perché l’apparecchio, come specifica il decreto di sequestro, è nell’“uso esclusivo” del giovane. Se i pm volessero analizzare anche la sim, è probabile che serva una richiesta al Senato proprio perché la scheda è in qualche modo collegata a Ignazio La Russa, componente dello studio legale milanese che porta il suo nome. Se inviare o no questa richiesta alla giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama è ancora oggetto di approfondimenti.

Su cosa non potranno indagare gli inquirenti

In ogni caso, già nel decreto che sequestra (solo) il cellulare i pm hanno chiarito che dalle ricerche dovranno essere escluse le conversazioni tra l’indagato e soggetti coperti da garanzie costituzionali a partire dall’immunità parlamentare. Per esempio, non potrà finire agli atti dell’inchiesta – ad oggi – una chat tra Leonardo e il padre. E nemmeno, per citare Gasparri, una conversazione tra la seconda carica dello Stato e il presidente della Repubblica.

In vista della copia forense del contenuto dell’apparecchio, gli investigatori dovranno identificare delle “parole chiave” per scavare nel mare magnum delle informazioni custodite al suo interno. E non è in teoria escluso che, dall’analisi del dispositivo, possano emergere dialoghi e informazioni che potrebbero anche scagionare l’indagato.

Non è solo una questione di interesse investigativo. Anche su questa delicata fase – che in alcuni casi si può portare avanti in contraddittorio con la difesa dell’indagato – ci si deve muovere nel solco della giurisprudenza. Una sentenza della corte di Cassazione del 2020, definita dagli esperti del settore come una sorta di “vademecum” delle acquisizioni probatorie informatiche, pone diversi paletti nonché un monito contro i sequestri “omnibus”. Le copie digitali degli strumenti informatici sono innanzitutto “a tempo”, visto che vanno trattenute il tempo necessario per estrapolare i dati, e poi vanno restituite all’indagato. E i dati devono essere strettamente legati all’oggetto dell’indagine e all’accertamento dei fatti.

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