Giuseppe Conte attacca Meloni e Giorgetti, rispettivamente presidente del consiglio e ministro dell’economia. In sostanza Conte dice: “Dò atto al ministro Giorgetti che con onestà intellettuale ha dichiarato finalmente che non c’è nessun buco di bilancio, e che il debito che è aumentato è dovuto al Covid e non è colpa di Conte. Si parlino, presidente del consiglio e ministro dell’economia”.
Giorgetti, infatti, aveva detto che “i bonus edilizi sarebbero costati allo Stato, finora, circa 110 miliardi. 61,2 miliardi sono infatti stati spesi per il Superbonus, 19 per il Bonus facciate e 29,9 per gli altri bonus edilizi. Rispetto alle previsioni di spesa, poi, lo scostamento sarebbe pari a ben 37,8 miliardi di euro, attribuibili in gran parte al Superbonus, con 24,7 miliardi in più dei 36,5 previsti, e al Bonus facciate con una spesa di 19 miliardi rispetto ai 5,9 previsti. Gli altri bonus sarebbero invece in linea con lo stanziamento iniziale, ma questo ‘buco di bilancio’, determinerà, stando alle stime de Mef, un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno, fino al 2026, corrispondenti a circa mezzo punto di Pil per annualità”.
Nei giorni precedenti, fra l’altro, lo stesso Conte aveva attaccato Giorgia Meloni su questo “fantomatico buco di bilancio” di cui aveva parlato in precedenza. In un video sui social, Conte spiegava: “Cara Giorgia Meloni, smettiamola con la disinformazione…”. Così il leader Giuseppe Conte, che posta un video su Facebook della sua visita a Foggia. “Basta bugie e disinformazione del Governo Meloni. Ho fatto visita a una società di Foggia che ha assunto circa 100 persone, molti giovani, con le nostre misure. Le misure per la transizione come il Superbonus e le Comunità energetiche creano posti di lavoro, tagli all’inquinamento e ai costi delle bollette per i cittadini. Altro che “buchi di bilancio”…”, aveva detto l’ex premier. Ma facciamo un passo indietro.
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Dopo l’esperienza del Covid, gli ospedali al collasso e medici e infermieri allo stremo, la presidente del consiglio aveva detto che sarebbe «miope» una discussione sulla sanità concentrata “esclusivamente sull’aumento o meno delle risorse». Nel giorno in cui la Fondazione Gimbe spiegava numeri da orchestra sul Titanic – la Nadef cristallizza un 6,6% di spesa sanitaria sul Pil per quest’anno, che diventerà il 6,2 per i prossimi due anni e il 6,1 nel 2026 – Giorgia Meloni mette le mani avanti sulla manovra: non ci saranno soldi, importante è spendere bene il poco che c’è. Il problema è che quando si parla di servizio sanitario, quando già secondo l’Istat il 7% degli italiani ha dovuto rinunciare a prestazioni per ragioni economiche e di liste d’attesa, allora razionalizzare non basta, serve aggiungere e garantire risorse.
Non è mai facile per un governo reperirle, accontentare tutti, mantenere fede alle tante e talvolta pindariche promesse di campagna elettorale – vedi la flat tax per tutti – ma risulta difficile ascoltare senza un sorriso la premier che insiste nel dire che sta governando «nella fase forse più difficile della nostra storia repubblicana». Senza tornare troppo indietro nel tempo, prima di lei c’è chi ha dovuto gestire da un giorno all’altro l’avvento inatteso di una pandemia, o l’inizio di una guerra nei confini d’Europa; a questo governo restano i miliardi del Pnrr, che sarebbero una manna dal cielo se solo li sapessimo spendere, «dobbiamo correre, correre, correre», intima oggi agli altri ma dovrebbe dirlo soprattutto al suo governo.