Corruzione, guai per Fratelli d’Italia, li hanno beccati: ecco cosa è successo

Non ci sono buone notizie per Fratelli d’Italia. Secondo le notizie di oggi, infatti, l’europarlamentare Carlo Fidanza e il deputato Giangiacomo Calovini, entrambi appartenenti al partito di Giorgia Meloni, hanno patteggiato una pena di un anno e 4 mesi nel processo in cui erano indagati per corruzione: l’inchiesta riguardava le dimissioni del consigliere comunale di Brescia Giovanni Acri, a sua volta membro di Fratelli d’Italia e indagato, avvenute a giugno del 2021.

Secondo l’accusa, Acri si sarebbe dimesso su richiesta dello stesso Fidanza, che all’interno di Fratelli d’Italia ha una certa rilevanza, per lasciare il proprio posto a Calovini, primo dei non eletti nel consiglio comunale di Brescia e considerato vicino a Fidanza. In cambio Acri avrebbe ottenuto l’assunzione del figlio nello staff di Fidanza (lo stipendio dei membri dello staff di un eurodeputato è pagato con soldi pubblici). Calovini nel frattempo è diventato deputato con le elezioni politiche del 2022.

L’accusa nei confronti di Fidanza e Calovini è cambiata rispetto all’inizio delle indagini: i due erano inizialmente accusati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (articolo 319 del codice penale), reato che prevede una pena dai 6 ai 10 anni, mentre il patteggiamento è avvenuto per l’accusa di corruzione per esercizio della funzione (art. 318), che prevede una pena minore, dai 3 agli 8 anni. Il patteggiamento concordato prevede anche l’esclusione di pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici, particolarmente rilevante per Fidanza, che potrà ricandidarsi al Parlamento europeo alle elezioni del 2024.

Soltanto due giorni fa Carlo Fidanza, capo delegazione Fdi al parlamento europeo aveva dichiarato: «Lavoriamo per un blocco con il Ppe, ma con i liberali c’è sintonia». Il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo aveva poi attaccato: “Penso che da parte di alcuni alti funzionari ci sia una sorta di doppio standard: quello che a Draghi veniva ampiamente consentito, senza che qualcuno gli chiedesse conto di alcunché, con noi diventa oggetto di attenzioni occhiute”. Il riferimento era al fatto che la proroga dello scudo erariale – contenuta nell’emendamento che cancella, solo per il Pnrr, il controllo concomitante della Corte dei Conti – era già stato fatto dal governo precedente. Le proroghe in questo campo, però, lo ha ricordato la Corte costituzionale più volte, dovrebbero essere quanto più brevi possibile.

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