Ve ne avevamo già parlato in un precedente articolo. Silvio Berlusconi ha deciso di lasciare nel testamento anche 30 milioni di euro per il suo amico Marcello Dell’Utri. L’ex senatore, secondo quanto riportato da Repubblica stamattina, tra richieste di grosse somme di denaro e il pagamento delle parcelle dei propri avvocati, diceva al tesoriere di FI a proposito della sua difesa in tribunale: «Non è solo di Dell’Utri, è anche di Forza Italia. Anche del Presidente. Non è una cosa da sottovalutare». E aggiungeva: «Questa difesa non è solo mia, sai che c’è dietro». E in effetti come lo stesso tesoriere del partito sottolineava, «sarebbe un grave errore pensare che sia soltanto la tua (riferito a Dell’Utri ndr), ma decisamente intesa anche al Presidente». E il vecchio amico del Cavaliere, lo stesso che gli ha portato negli anni ‘70 nella villa di Arcore il mafioso Vittorio Mangano per controllare che nulla di criminale accadesse alla famiglia Berlusconi, ribatteva: «FI è immischiata in questa storia, come il Presidente».
Dialoghi registrati dalla Dia di Firenze nel maggio 2021. Per i magistrati della procura antimafia toscana nell’atto d’accusa notificato la scorsa settimana a Dell’Utri per l’inchiesta sulle stragi del ‘93, prendono spunto da queste intercettazioni e scrivono: «La necessità della difesa» di Berlusconi «presuppone che gli stessi siano coinvolti nelle condotte delittuose contestate a Dell’Utri, il quale se, per ipotesi, decidesse di raccontare quanto a sua conoscenza potrebbe accusarlo». E aggiungono: «E ciò dà forza alla capacità di ricatto posto che potrebbero esserci pericoli per l’ex premier». C’è quindi, come sostengono gli investigatori, una storia di ricatto?
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Sta tutto lì il nodo che gira e rigira da trent’anni negli uffici delle procure che hanno indagato sugli intrecci che riguardavano Berlusconi, Dell’Utri e la mafia. Le inchieste di riciclaggio che li hanno visti indagati e poi archiviati. Le storie che i pm avrebbero voluto chiedere all’ex premier che si è avvalso della facoltà di non rispondere restando in silenzio davanti ai giudici. E non chiarendo mai nelle aule di giustizia rapporti, conoscenze, incontri, i miliardi di lire ricevuti nelle holding senza una causale.
Il fulcro di tutto è quindi Dell’Utri. L’uomo che nelle intercettazioni parla di come la sua difesa nei processi di mafia sia legata a doppio filo a quella di Berlusconi e del partito che hanno fondato. L’ex senatore non nasconde cosa c’è dietro alla sua strategia, ne parla nelle intercettazioni, perché lui è legato al suo amico Silvio. E l’ex premier è legato a lui anche nel testamento. E non è l’importo del lascito di 30 milioni di euro che fa pesare, come in una bilancia dei sentimenti, quanto fossero uniti, ma è il gesto che Berlusconi ha compiuto ed ha trasmesso ai figli: assieme a Paolo Berlusconi e Marta Fascina, di Marcello non si possono dimenticare, «per il bene che gli ho voluto, e per quello che loro hanno voluto a me». Il loro destino è stato segnato fino alla fine da un’unica inchiesta che li ha visti indagati a Firenze per gli attentati nel continente.
"Se parla Dell'Utri qui viene giù tutto", l'inchiesta dei procuratori
Furono stragi pianificate da Cosa nostra, elaborando l’idea, inoculata nel gruppo dei capimafia, secondo la quale «mischiare il sangue di vittime innocenti alla polvere originata dalla distruzione del patrimonio culturale della Repubblica avrebbe messo in ginocchio lo Stato». Sin dal primo momento fu, dunque, drammaticamente chiaro che le stragi rivelavano «disegni criminosi difficilmente riconducibili soltanto alle strategie tipiche di un’organizzazione mafiosa, sia pure raffinata e complessa come Cosa nostra». Quella matrice eversiva ha assunto significati ancor più chiari con le bombe di Roma e Milano, che spinsero l’allora premier Carlo Azeglio Ciampi a parlare alle Camere riunite il 28 luglio 1993, di «una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune». Tanto da indurlo a dire ai pm di Caltanissetta nel 2010: «Ho maturato il convincimento che quelle bombe fossero contro il governo da me presieduto. Gli attentati iniziarono, con quello di via Fauro, poco dopo l’insediamento dell’esecutivo e cessarono contestualmente alle mie dimissioni nel dicembre 1993». Sugli stessi temi Ciampi era stato sentito dai pm fiorentini Vigna e Chelazzi il 2 agosto 1996.
Adesso i procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli e il sostituto Lorenzo Gestri portano avanti l’inchiesta con grande fatica, per arrivare a chi, dall’esterno, ha indicato la strada stragista ai boss. Ma non sono pm intoccabili, perché spesso vengono denigrati perché si sostiene che ci sia un attacco a Berlusconi. E occorre ricordare che l’indagine è su Dell’Utri. Oggi ci sarà il suo interrogatorio. E potrebbe continuare a non parlare.