Ci sono importanti novità che riguardano Giorgia Meloni e in particolare il suo staff. Un’altra pedina importante se ne va dal cerchio magico della Meloni. Stiamo parlando del capo ufficio stampa, quindi non proprio una persona di basso rango nella scala che porta all’attuale presidente del consiglio. Ebbene, tale Mario Sechi, che molti di voi conosceranno sicuramente, lascia il posto accanto alla premier. Ecco dove lo vedremo.
Mario Sechi sarà il nuovo direttore di Libero. L’attuale capo ufficio stampa della premier Giorgia Meloni, già direttore dell’agenzia Agi, guiderà il quotidiano prendendo il posto di Alessandro Sallusti, destinato (insieme al fondatore Vittorio Feltri) a trasferirsi al Giornale appena passato dalla famiglia Berlusconi agli Angelucci. La notizia era stata anticipata nei giorni scorsi da Dagospia.
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A convincere Sechi a candidarsi al posto – per cui sembrava in pole position Pietro Senaldi, già direttore e attuale condirettore – è il rapporto mai decollato con lo staff di Meloni e in particolare con le sue storiche collaboratrici Patrizia Scurti e Giovanna Ianniello. L’editorialista sardo era arrivato a palazzo Chigi soltanto lo scorso 6 marzo, dopo che nei primi mesi il ruolo era rimasto scoperto.
Mario Sechi non era a Parigi, all’Eliseo, martedì scorso. Un elemento di prova, direbbe un investigatore alle prese con il nuovo caso della comunicazione targata Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Come mai il capo ufficio stampa della presidente del Consiglio, giornalista con una grande passione per la geopolitica, non era presente al bilaterale più atteso degli ultimi mesi, l’incontro della riconciliazione tra Meloni ed Emmanuel Macron? Domanda inevasa per ore, finché le voci che si rincorrevano da giorni non si sono trasformate in un’indiscrezione del sito Dagospia. Sechi ha pronte le valigie, dopo poco più di tre mesi a Palazzo Chigi.
Andrà alla direzione di Libero, quotidiano che, accanto a Il Giornale e a II Tempo, nel nuovo polo conservatore immaginato dall’editore Antonio Angelucci — proprietario di cliniche e anche deputato iper-assenteista della Lega — rappresenterebbe l’ala meloniana. Storia tutta italiana questa, dove il confine tra interessi privati, politica, e giornalismo sfuma facilmente verso il grigio. E dove diventa normale che da collaboratore della premier si finisca a fare il direttore.
Tutti aspetti che ricordano l’esperienza di Donald Trump alla Casa Bianca. Il tycoon diventato il primo presidente populista della nuova era americana bruciò innumerevoli portavoce e capi della comunicazione. In piccolo, è successo qualcosa di simile a Palazzo Chigi. Meloni ha ricevuto diversi no e ha passato mesi a cercare un portavoce. Alla fine è arrivato Sechi, dalla direzione dell’agenzia di stampaAgi, lo scorso fine febbraio. Da quanto trapela, l’accordo era prima di provare una convivenza di tre mesi. Se fosse andata bene, si sarebbe andati avanti. Su per giù la scadenza è stata questa. E, a quanto pare, non è andata così bene. Chi conosce il “clan Tolkien” da anni, dagli anni della militanza postfascista che li ha compattati dietro al mito di Giorgio Almirante e di Frodo, sapeva sin dall’inizio che sarebbe finita così.