La notizia è dell’ultima ora ed è di quelle davvero positive: Patrick Zaki, condannato ieri a tre anni, ha ricevuto la grazia presidenziale. Lo hanno reso noto le autorità egiziane e la notizia è stata riportata dall’Ansa.
Solo ieri vi avevamo raccontato di come Patrick Zaki era stato condannato ad altri quattordici mesi in cella, in Egitto, oltre ai ventidue già scontati. La notizia aveva il sapore di una vendetta da parte della Procura di Mansoura a Patrick George Zaki, studente egiziano dell’università di Bologna arrestato al Cairo nel febbraio del 2020. La sentenza era arrivata alla fine di una mattinata tesissima, con voci di corridoio che avevano anticipato al ragazzo che non sarebbe stata una bella giornata, con una presa in custodia – ufficialmente in attesa di giudizio – che aveva tanto il sapore di un arresto definitivo, con la tensione che cresceva fra gli amici, gli avvocati e i rappresentanti delle ambasciate che attendevano nei corridoi stretti del tribunale di questa città sul Nilo.
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E naturalmente tra la famiglia: la mamma di Patrick e la sua fidanzata, Reny, che a settembre avrebbe dovuto diventare sua moglie. Patrick stesso era nervoso. Sin da ieri sera l’altro. Quando la situazione è precipitata ieri mattina ha provato a chiedere aiuto, rivolgendosi a Repubblica: una telefonata che però era risultata incomprensibile. Poi un messaggio: “Aiutatemi. Mi stanno arrestando di nuovo. Non ci posso credere. Avvisate la mia famiglia”. Inutile provare a scrivergli ancora, inutile chiamare: da quel momento il telefono è rimasto muto.
Un’ora dopo il ragazzo è stato portato via dall’aula attraverso il passaggio nella gabbia degli imputati tra le grida della madre e della fidanzata all’esterno. Patrick si era laureato il 5 luglio all’università di Bologna: massimo dei voti, lode da parte della Commissione, gli occhi che ridevano nonostante la sessione si fosse svolta via Zoom e non in persona, come per mesi aveva sperato. “Sto andando al mare. Con la famiglia. Adesso mi godo la festa”, aveva detto la sera stessa dopo aver risposto a mille telefonate dall’Italia. Una festa purtroppo durata poco.
Il presidente egiziano concede la grazia a Patrick Zaki
Chi conosce l’Egitto spiega che molto è forse dipeso dalle pressioni che il governo italiano ha fatto sul Cairo. Quel che è certo è che la sentenza non era appellabile: per questo l’avvocata Hoda Nasrallah ha annunciato all’Ansa fuori dal tribunale di Mansoura un tentativo di annullamento della sentenza. “Chiederemo al governatore militare di annullare la sentenza o di far rifare il processo come è avvenuto nel caso di Ahmed Samir Santawy”, aveva detto. Invece è intervenuto direttamente il presidente egiziano a concedergli la grazia.
Questo caso ci ha riportato, per un breve momento, a quello di Giulio Regeni. A distanza di sette anni, quella verità non è ancora scritta. E questo nonostante la tenacia di due genitori che non si arrendono e del lavoro degli inquirenti italiani che non si danno per vinti. Giulio Regeni, 28 anni, è scomparso al Cairo il 25 gennaio 2016 e il suo cadavere è stato ritrovato nove giorni dopo, torturato e ucciso per motivi apparentemente sconosciuti. Da allora le indagini hanno cercato di trovare i colpevoli, fra l’assenza di collaborazione dell’Egitto e i continui depistaggi. Nel dicembre 2019 sono partiti i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta. Proprio durante un’audizione della Commissione il duro atto d’accusa della Procura di Roma: “È finito nella ragnatela degli apparati egiziani ed è stato torturato per giorni. Dopo la sua morte almeno 4 depistaggi”. Intanto, il processo a quattro 007 egiziani è sospeso perché risultano irreperibili. A gennaio 2023, dopo un nuovo grido d’accusa dei genitori di Regeni, si aprono nuovi spiragli sulla collaborazione dell’Egitto per arrivare alla verità.