Un meccanismo apparentemente democratico, ma con molte zone d’ombra
Ogni anno, milioni di italiani compilano la dichiarazione dei redditi e si trovano di fronte a una scelta: destinare una parte della propria Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) all’8, al 5 e al 2 per mille. Sulla carta, questo sistema dovrebbe permettere ai cittadini di sostenere enti religiosi, organizzazioni no-profit e partiti politici in modo trasparente e volontario. Tuttavia, come evidenziato nell’analisi della giornalista Milena Gabanelli su Dataroom, esistono molte distorsioni che compromettono il principio di equità e trasparenza.
Vediamo nel dettaglio dove sta il problema.
L’8 per mille: quando il silenzio favorisce la Chiesa cattolica
L’8 per mille nasce nel 1990, in seguito all’Accordo di Villa Madama (1984) tra il governo italiano e il Vaticano, sostituendo il vecchio sistema della “Congrua”, ossia lo stipendio statale per i parroci. Con il tempo, anche altre confessioni religiose hanno ottenuto il diritto di accedere ai fondi. Oggi, i contribuenti possono scegliere di destinare l’8 per mille a 13 confessioni religiose (tra cui la Chiesa cattolica, la Chiesa evangelica valdese, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, ecc.) oppure allo Stato.
Ma qual è il problema?
Il meccanismo di ripartizione prevede che, in caso di mancata scelta da parte del contribuente, la quota venga distribuita proporzionalmente in base alle preferenze espresse. Questo significa che chi non esprime alcuna volontà finisce per favorire automaticamente chi ha ricevuto più firme. Ecco i numeri dell’ultima ripartizione (dati 2024, riferiti alla dichiarazione 2020):
16,7 milioni di contribuenti (41%) hanno indicato una destinazione specifica, generando 581,8 milioni di euro.
24,1 milioni di contribuenti (59%) non hanno espresso alcuna preferenza, e i loro fondi sono stati redistribuiti in proporzione.
In totale, la Chiesa cattolica ha ricevuto il 68,5% dei fondi (911 milioni di euro), nonostante solo il 28% dei contribuenti l’abbia indicata esplicitamente.
Lo Stato ha ricevuto il 25,6% dei fondi (340,3 milioni di euro), ma ha poi utilizzato una parte per coprire spese ministeriali anziché per gli scopi previsti (es. conservazione dei beni culturali, edilizia scolastica, ecc.).
Solo due confessioni religiose (Assemblee di Dio e Chiesa Apostolica) hanno scelto di non accettare la redistribuzione, limitandosi alle sole donazioni esplicite. La maggioranza delle risorse, però, continua ad andare alla Chiesa cattolica grazie ai fondi di chi non ha espresso preferenze.
Il 5 per mille: una tassa di solidarietà con il tetto imposto dallo Stato
Il 5 per mille è stato introdotto nel 2006 per permettere ai cittadini di finanziare enti di volontariato, ricerca scientifica, sanitaria, beni culturali e sport dilettantistico. La logica è simile a quella dell’8 per mille, con una grande differenza: vale solo per chi lo sceglie esplicitamente e non c’è redistribuzione delle quote non assegnate.
Dal 2007, però, è stato introdotto un tetto massimo: se le donazioni complessive superano questa soglia, l’eccedenza finisce nelle casse dello Stato. Il tetto è stato aumentato progressivamente:
2006: 345 milioni di euro.
2010: 400 milioni di euro.
2015-2019: 500 milioni di euro.
2020: 510 milioni di euro.
2021: 520 milioni di euro.
Dal 2022: 525 milioni di euro.
Nel 2023, 17,2 milioni di contribuenti hanno scelto di donare il 5 per mille, generando 553 milioni di euro. Tuttavia, 28 milioni di euro in eccesso sono stati trattenuti dallo Stato. In totale, dal 2006 al 2023, il governo ha incamerato circa 483 milioni di euro destinati alle associazioni no-profit.
Al momento, nel Decreto Milleproroghe sono stati presentati emendamenti per alzare il tetto a 553 milioni di euro dal 2025, così da eliminare questa sottrazione forzata. Tuttavia, al Senato nessuna proposta è stata approvata. Fratelli d’Italia ha proposto un incremento limitato a 535 milioni di euro, che comunque non coprirebbe l’intero importo scelto dai cittadini.
Il 2 per mille: un trattamento di favore ai partiti politici
Dal 2014, i partiti politici possono ricevere finanziamenti tramite il 2 per mille. Il sistema ricalca quello del 5 per mille: solo chi indica esplicitamente un partito gli destina la quota. Anche qui è presente un tetto massimo, inizialmente fissato a:
2014: 7,75 milioni di euro.
2015: 9,6 milioni di euro.
2016: 17,7 milioni di euro.
Dal 2017: 25,1 milioni di euro.
Fino al 2023, il tetto non era mai stato raggiunto. Ma nel 2024, 2 milioni di italiani (5%) hanno scelto di destinare il 2 per mille, generando 29,79 milioni di euro. Cosa ha fatto il governo? Ha immediatamente alzato il tetto di 4,69 milioni di euro per permettere ai partiti di incassare l’intera somma.
Non solo. A fine 2024, il governo ha tentato di modificare il sistema, proponendo di sostituire il 2 per mille con lo 0,2 per mille sull’intera Irpef versata dai contribuenti, comprese le dichiarazioni senza scelta. Questo avrebbe garantito ai partiti 42,3 milioni di euro annui. La proposta è stata bloccata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in quanto alterava la libera scelta dei cittadini.
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Conclusione: una democrazia fiscale sbilanciata
Il sistema dell’8, 5 e 2 per mille, nato per favorire la libertà di scelta dei cittadini, presenta evidenti distorsioni:
1. L’8 per mille avvantaggia la Chiesa cattolica grazie alla redistribuzione delle scelte non espresse.
2. Il 5 per mille è soggetto a un tetto che limita il finanziamento effettivo al volontariato e alla ricerca.
3. Il 2 per mille riceve trattamenti di favore, con tetti immediatamente rialzati per garantire ai partiti il massimo incasso.
Questa gestione non rispecchia pienamente la volontà dei cittadini, ma risponde più agli interessi di alcuni beneficiari. Un sistema davvero equo dovrebbe garantire che ogni euro destinato dal contribuente arrivi realmente al destinatario scelto, senza trucchi e senza tetti imposti dallo Stato.
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