C'è stato un rinvio della commissione che si sta occupando del giurì d'onore chiesto da Giuseppe Conte contro Giorgia Meloni.
La notizia di oggi è che c’è stato un rinvio della commissione che si sta occupando del giurì d’onore chiesto da Giuseppe Conte contro Giorgia Meloni. La riunione infatti è slittata alle 18.30. Ieri era stata convocata dal presidente Mulè alle 16. Oltre a lui ci sono Fabrizio Cecchetti (Lega), Alessandro Colucci (Noi moderati), Stefano Vaccari (Pd) e Filiberto Zaratti (AVS). Si sono riuniti di nuovo a Montecitorio per fare il punto sulla contesa nata tra il leader del M5S Giuseppe Conte e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a proposito della posizione presa dall’Italia sul Mes. I componenti del Giurì sono al lavoro sulla parte conclusiva della relazione che dovranno illustrare in Aula il 9 febbraio. Ognuno starebbe prendendo le misure sulla posizione da prendere alla luce dei molti documenti presentati da Conte anche dopo la sua audizione.
Il 9 febbraio la decisione finale in Aula
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Il Giurì d’Onore è nominato dal presidente della Camera su richiesta di un deputato che si senta leso nella sua onorabilità da accuse che gli siano state mosse nel corso di una discussione, e ha come compito quello di valutare la fondatezza di tali addebiti. Della relazione del Giurì l’Assemblea si limita a prendere atto, senza dibattito né votazione. Nella prassi parlamentare la nomina di un Giurì d’onore presuppone tre elementi: in primis l’addebito personale e diretto di un parlamentare nei confronti di un altro nel corso di una discussione; in secondo luogo fa riferimento a fatti determinati e non è quindi l’espressione di un giudizio o una opinione; e infine la possibilità che la commissione di indagine, priva di poteri coercitivi, possa acquisire elementi di conoscenza in ambito parlamentare o attraverso testimonianze spontanee degli interessati. Il numero di componenti è variabile e presenta una proporzione che rispetta le rappresentanze in Parlamento.
Visto che non ha praticamente poteri viene convocato molto di rado e, non avendo nessuna funzione sanzionatoria o punitiva, le controversie parlamentari portate davanti al Giurì si sono spesso risolte con semplici scuse o con un nulla di fatto, anche davanti ad accuse accertate potenzialmente più gravi. Il Post ha raccontato il caso più eclatante: nel 1999 Roberto Manzone dell’UDEUR, partito di centro, chiese un Giurì per valutare le affermazioni di Paolo Bampo, del Gruppo Misto, che aveva dichiarato all’Ansa di aver ricevuto una grossa offerta in denaro, circa 200 milioni di lire, da un altro deputato, Luca Bagliani, per passare all’UDEUR. Bagliani negò le accuse e minacciò di denunciare Bampo: a questo proposito il Giurì venne istituito e decretò che Bampo avesse detto la verità, ma non ci furono conseguenze né per Bagliani né per l’UDEUR.