Nel suo editoriale dello scorso 2 settembre, il direttore de La Notizia Gaetano Pedullà scrive: “Prima di mettere nero su bianco la sua seconda manovra finanziaria il governo farebbe bene a verificare se ha fatto bene con quella precedente. Proprio ieri l’Istat ci ha detto che il Pil del secondo trimestre è in calo dello 0,4%, a luglio gli occupati sono scesi (-73mila) e l’inflazione nel carrello della spesa resta intorno al 10%. Per circa tre milioni di italiani i dati sono però ben peggiori, perché l’unica fonte di sopravvivenza, o l’integrazione ai guadagni minimi, è sparita col Reddito di cittadinanza.
Insomma, esaurita la spinta economica degli esecutivi precedenti ci troviamo più in difficoltà di quasi un anno fa, quando la Meloni entrò a Palazzo Chigi sull’onda di promesse elettorali irrealizzabili. Logica vorrebbe che sbagliando si impari, ma l’aria che tira sulla manovra in costruzione è insalubre. Facendo tutto il contrario di altri Paesi – come la Germania che punta su welfare, sanità, affitti calmierati e salario minimo – qui si pensa a tagli alla spesa e austerità. Niente di diverso dalle ricette di Monti e Draghi, contro cui Fratelli d’Italia ha sempre fatto opposizione, o ha finto di farla.
Ora si dice che non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta, ed è generoso che M5S e Pd continuino ad offrire consigli per migliorare la manovra, ma alla Meloni piace sbagliare da sola, lasciando a bocca asciutta persino i suoi alleati. Che intanto continuano a prenderci in giro promettendo aumenti alle pensioni con Tajani e di tutto un po’ con Salvini. Balle che tra qualche mese spariranno, per colpa – ci diranno – di qualcun altro. Al solito” si legge nell’articolo di Pedullà.
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La stima completa dei conti economici trimestrali, in effetti, conferma la flessione dell’economia italiana nel secondo trimestre dell’anno, risultata pari allo 0,4 per cento, lievemente più accentuata rispetto alla stima preliminare, che aveva fornito una riduzione dello 0,3 per cento”. Lo dice l’Istat nei conti economici trimestrali pubblicati stamattina. Il segno meno non è una sorpresa e rispetto alle stime preliminari la variazione è minima, ma è un segnale da mettere in fila per inquadrare la congiuntura economica delicata che ha sullo sfondo l’inflazione ancora sopra i target e la stretta monetaria della Bce. Solo ieri l’Istat ha certificato la flessione dei contratti di lavoro a luglio, mentre il giorno prima il calo degli indici di fiducia di consumatori e imprese ad agosto.
La crescita tendenziale del secondo trimestre, spiega dunque l’Istat, si attesta allo 0,4 per cento, in flessione rispetto ai trimestri precedenti, con una revisione anche in questo caso al ribasso rispetto alla stima preliminare, che aveva registrato una crescita dello 0,6 per cento. “A determinare la flessione del pil è stata soprattutto la domanda interna (incluse le scorte), mentre quella estera ha fornito un contributo nullo”, ha aggiunto l’Istituto di statistica, che ha dettagliato: “Sul piano interno, l’apporto dei consumi privati è stato anch’esso nullo, mentre sia quello della spesa delle Amministrazioni Pubbliche sia quello degli investimenti è risultato negativo. Positivo il contributo delle scorte, per 0,3 punti percentuali”.
La variazione acquisita del pil per il 2023 è pari, alla luce dei dati aggiornati del secondo trimestre, a +0,7 per cento. L’Istat rivede così al ribasso la stima di fine luglio, pari a +0,8 per cento. L’acquisita è la variazione del pil che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno. I dati dell’Istat arrivano per altro insieme al monito di S&P che ha pubblicato gli indici Pmi sul manifatturiero: Il settore manifatturiero italiano – si legge nel rapporto – è rimasto impantanato in una fase di contrazione nel mese di agosto. La produzione e i nuovi ordini sono nuovamente calati a ritmi elevati e la domanda di mercato è stata segnalata come debole. Si è registrato un calo di posti di lavoro per la prima volta in tre anni, sebbene la fiducia nel futuro si sia rafforzata fino a raggiungere un massimo di quattro mesi. Gli ultimi dati sui prezzi hanno mostrato un’altra notevole riduzione del costo dei fattori produttivi, mentre le imprese hanno cercato di stimolare la domanda riducendo i prezzi di vendita.