Negli ultimi giorni, le dichiarazioni del giornalista Sergio Rizzo hanno sollevato un acceso dibattito sul finanziamento pubblico alla stampa e sul ruolo della RAI nella distribuzione di risorse economiche ad alcuni giornali italiani. Rizzo ha denunciato un sistema in cui il canone RAI, imposto a tutti i cittadini, non solo serve a mantenere in vita un colosso mediatico con migliaia di dipendenti, ma contribuisce anche al sostegno finanziario di testate giornalistiche, alcune delle quali hanno legami con partiti politici e gruppi di potere. Questo meccanismo, secondo Rizzo, trasforma il servizio pubblico in uno strumento di finanziamento alla politica, sollevando dubbi sulla sua effettiva trasparenza ed equità.
Il Canone RAI: Un Peso per i Cittadini, Un Sistema Oneroso per lo Stato
Uno degli aspetti più critici sollevati da Sergio Rizzo riguarda l’obbligo del pagamento del canone RAI per tutti i dodici mesi dell’anno, indipendentemente dall’uso effettivo del servizio pubblico televisivo. Ma il punto centrale non è solo la tassa in sé, quanto piuttosto il fatto che questa non è sufficiente a coprire il bilancio dell’azienda. La RAI conta quasi 13.000 dipendenti e, nonostante ciò, esternalizza gran parte della produzione dei suoi contenuti, per una spesa complessiva che si aggira intorno al miliardo di euro all’anno. Questo solleva una domanda legittima: perché una struttura così grande ha ancora bisogno di acquistare contenuti all’esterno invece di produrli internamente?
Il problema si amplifica quando si scopre che il canone RAI non serve solo a finanziare l’azienda pubblica, ma anche a sostenere economicamente giornali e testate attraverso contributi pubblici. Questo sistema, secondo Rizzo, va oltre il semplice sostegno all’editoria e si trasforma in una forma di finanziamento indiretto a specifici gruppi editoriali e politici.
Il Finanziamento Pubblico ai Giornali: Il Caso di “Libero” e Altre Testate
Uno degli esempi più eclatanti citati da Rizzo è quello del quotidiano Libero, che riceve ogni anno circa 4 milioni di euro di fondi pubblici. Questo giornale, noto per la sua linea editoriale fortemente schierata, è parte di un gruppo editoriale controllato dalla famiglia Angelucci, con forti legami con Forza Italia. Nonostante sia una testata commerciale e indipendente, continua a beneficiare di finanziamenti statali, una situazione che, secondo Rizzo, rappresenta un’anomalia rispetto alla logica di un mercato dell’informazione realmente libero e concorrenziale.
Ma Libero non è l’unico caso. Rizzo cita anche altre testate che ricevono contributi pubblici, come i giornali cattolici Avvenire e Famiglia Cristiana, oltre a giornali storicamente legati a formazioni politiche. Il problema, secondo il giornalista, non è tanto l’esistenza di un sostegno all’editoria, quanto il criterio con cui vengono distribuiti questi fondi. In molti casi, infatti, i giornali che beneficiano di questi finanziamenti appartengono a gruppi imprenditoriali solidi, che avrebbero le risorse per operare senza l’intervento dello Stato.
La Lottizzazione della RAI e il Controllo Politico sull’Informazione
Oltre al tema dei finanziamenti pubblici ai giornali, Sergio Rizzo ha puntato il dito contro la continua lottizzazione della RAI. Ogni governo che si insedia cambia i vertici dell’azienda, sostituendo i direttori dei telegiornali, delle reti televisive e persino i conduttori di programmi di intrattenimento. Questo fenomeno, ben noto in Italia, dimostra quanto la televisione pubblica sia ancora oggi considerata uno strumento di potere politico piuttosto che un vero servizio pubblico.
Il problema, secondo Rizzo, non si limita ai pochi mesi estivi, quando la programmazione televisiva è generalmente meno seguita, ma riguarda tutto l’anno. La RAI, che dovrebbe essere un servizio imparziale e dedicato all’informazione pubblica, finisce per essere influenzata dagli equilibri politici del momento, riducendo il pluralismo e la qualità del dibattito pubblico.
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Le parole di Sergio Rizzo sollevano interrogativi fondamentali sulla gestione del servizio pubblico radiotelevisivo e sul finanziamento statale ai giornali. Se il canone RAI è stato pensato per garantire un’informazione indipendente e accessibile a tutti, il sistema attuale sembra invece servire gli interessi di pochi, alimentando un meccanismo di dipendenza economica tra politica e media.
Il finanziamento pubblico all’editoria, se non regolato con criteri più equi e trasparenti, rischia di trasformarsi in una rendita di posizione per alcune testate, a scapito della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione. La questione resta aperta: è giusto che i cittadini continuino a pagare per un sistema che sembra favorire gli interessi di gruppi politici ed economici? La risposta spetta al dibattito pubblico e, soprattutto, alle future scelte politiche in materia di riforma del servizio pubblico e dei finanziamenti all’editoria.
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