Il papà di Ilaria Salis ha risposto alle parole di Salvini, mentre sua figlia ha scritto una scioccante lettera dal carcere in Ungheria.
Il papà di Ilaria Salis ha risposto alle parole di Salvini, mentre sua figlia ha scritto una scioccante lettera dal carcere in Ungheria. Ma partiamo dal papà di Ilaria, che ha voluto commentare la gaffe di Salvini sulla figlia (“Non dovrebbe fare la maestra”). «Ah, Salvini…». All’inizio è diplomatico, Roberto Salis: «Dichiarazioni fuori luogo». Poi è combattivo: «Ho un amico principe del foro di Milano: gli farà avere presto mie notizie». Quindi è arrabbiato: «Qui ci sono diritti umani calpestati. E ci sono mine vaganti che vanno a frugare nel passato per dire che Ilaria, in fondo, se l’è cercata…». Infine, è indignato: «Hanno scritto che perfino io, nel 2009, sarei stato denunciato per un blocco del traffico dei Cobas. Io!… Ma nel 2009 facevo l’amministratore delegato d’una Spa da 50 milioni di fatturato, la Robert Bosch. Le pare che avessi tempo per i blocchi del traffico?».
La lettera dal carcere
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Ecco la lettera pubblicata da Repubblica in cui Ilaria Salis spiega la sua situazione in Ungheria. “Sono stata costretta a indossare abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in Questura e ad indossare un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia”. In seguito, “fino al 20 marzo (ossia per 5 settimane) quando il carcere ha finalmente autorizzato il Consolato italiano a farmi visita e a recapitarmi il primo pacco, sono rimasta senza un ricambio di vestiti (biancheria intima compresa) solo con i vestiti malconci e gli stivali con i tacchi fuori misura che mi avevano dato in Questura”.
“Per più di 6 mesi non ho potuto comunicare con la mia famiglia. Il primo settembre (dopo 6 mesi di detenzione) ho ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i miei!”. E ancora: “Non ho ancora ricevuto la traduzione dell’ordinanza del GIP datata 11 agosto!” (con la quale la custodia cautelare era stata prolungata di altri tre mesi), né la traduzione del ricorso al II foro (“il ricorso al II foro è tipo il riesame e si fa ogni volta che viene prolungato l’arresto)”. “Al mio arrivo non mi hanno dato neanche il pacco con articoli per l’igiene personale (…) mi sono trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti o cotone (perché sfortunatamente avevo anche il ciclo) fino al 18 febbraio (…) Nelle celle in cui sono stata per i primi 2 mesi mancavano alcuni strumenti per pulire che secondo l’ordinamento dovrebbero essere in tutte le celle (mocio, paletta, secchio, scopetta per pulire il WC), li ho chiesti più volte ma non me li hanno forniti”.
La situazione in cella
“Per un mese in totale, diviso in tre periodi, sono stata in 2 persone in celle che misuravano meno di 7 metri quadrati, escluso il bagno”. In attesa dell’esame dell’antropologo “sono stata per ore in 4 persone in una celletta che misurava 120 cm x 180 cm e da sola in una celletta che misurava 120 cm x 90 cm”. “Per poco meno di un mese, tra agosto e settembre, sono stata in una cella in cui secondo me non c’era sufficiente ventilazione per 8 persone perché le 2 finestre si aprono solo per qualche centimetro e qui si sta in cella completamente chiusa (compreso lo sportellino ad altezza cintura da cui ti passano il cibo) per 23 ore su 24”. “Si trascorrono 23 ore su 24 in cella completamente chiusa: c’è una sola ora d’aria al giorno e la socialità non esiste (…) Tutte le mattine ci svegliano attorno alle 5:30 (sabato e domenica alle 6:00) e dobbiamo alzarci e rifare immediatamente il letto per poi rimanere chiuse nella cella senza fare niente tutto il giorno”.
“Le aree per il passeggio sono 5 in totale e sono a livello del piano -1 al centro del ferro di cavallo costituito dall’edificio, per cui non vi batte praticamente mai il sole. Sono completamente asfaltate, senza una panchina e con una rete metallica sopra la testa. Due di esse sono molto piccole: poco più di 25 metri quadrati e può capitare di doverci ‘passeggiare’ anche in 15 persone, per cui è quasi impossibile muoversi”. “Qui il carrello passa per la colazione e per il pranzo ma non per la cena (…) Credo che il problema della malnutrizione qui sia risaputo perché anche l’antropologo forense ha ritenuto di poter giustificare il fatto che la donna che compare nelle immagini sia più paffuta di come non ero io quando ho fatto la perizia a giungo, dicendo che la persona nelle immagini era nutrita. Il problemadell ’alimentazione a lungo andare diventa serio perché qui è vietato cucinare e nei pacchi può entrare solo il cibo comprato nello shop online del carcere. La spesa si può fare ogni due settimane; nel negozio ci sono poche tipologie di prodotti o in scadenza o ci sono limitazioni sull’acquisto di tutti i prodotti” si legge.