Il clamoroso addio di Elisabetta Belloni alla guida del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis) ha scatenato un terremoto politico e mediatico. La decisione, ufficialmente motivata come «personale», sembra in realtà il culmine di tensioni crescenti, conflitti interni e incomprensioni con la premier Giorgia Meloni e altre figure chiave del governo.
Un addio annunciato o un epilogo forzato?
Belloni lascerà formalmente il suo incarico il prossimo 15 gennaio, ma non è previsto alcun nuovo ruolo immediato per lei a Bruxelles, come si vociferava inizialmente. Ufficialmente, l’ex capo dei servizi segreti avrebbe deciso di lasciare il Dis per ragioni personali, ma fonti interne riportano uno scenario ben diverso: tensioni politiche e operazioni mal gestite avrebbero creato un clima insostenibile.
La lite telefonica con Giorgia Meloni, avvenuta ieri mattina, sembra essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una conversazione definita «tesa e aspra», durante la quale la premier avrebbe accusato Belloni di aver rivelato ai giornali la notizia delle sue dimissioni. Un’accusa che Belloni ha respinto categoricamente, dichiarando: «Chi mi conosce sa che non sono una persona che agisce in questo modo».
Contrasti interni e il caso Sala
Uno dei punti di maggiore attrito tra Belloni e il governo riguarda il cosiddetto “caso Sala”, ovvero la gestione del dossier relativo alla giornalista arrestata in Iran. Belloni sarebbe stata esclusa dalla gestione diretta del caso, che è stato accentrato a Palazzo Chigi e affidato all’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna). Una scelta che avrebbe irritato profondamente Belloni, convinta che il Dis dovesse avere un ruolo più centrale nella vicenda.
Secondo indiscrezioni, Belloni aveva una visione strategica diametralmente opposta a quella adottata dal governo. Piuttosto che insistere su un rapido scambio diplomatico per il rilascio della giornalista, Belloni avrebbe preferito costruire un dialogo più ampio con l’Iran, cercando di evitare di irritare gli Stati Uniti e ottenendo vantaggi a livello geopolitico ed economico.
Anche i rapporti con Antonio Tajani, ministro degli Esteri, e Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si sarebbero deteriorati. Mantovano viene descritto come «un uomo ossessionato dal controllo», mentre Tajani sarebbe stato considerato «politicamente debole» da Belloni.
Il G20 di Rio e il disagio crescente
Al G20 di Rio de Janeiro, lo scorso novembre, il malessere di Belloni era ormai palpabile. Fonti interne riferiscono che l’ex capo dei servizi segreti appariva sempre più insofferente e irrequieta, un atteggiamento che avrebbe infastidito persino l’entourage della premier. La scelta di non includere Belloni nel viaggio ufficiale di Giorgia Meloni all’inizio di gennaio sarebbe stata percepita come un segnale di esclusione e sfiducia.
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Una transizione mancata
Secondo quanto riportato, il 23 dicembre scorso si era raggiunto un accordo tra Belloni e la premier per un percorso di transizione “ordinato” alla guida del Dis. Tuttavia, la pubblicazione della notizia delle dimissioni avrebbe fatto saltare ogni piano. Belloni sostiene che la fuga di notizie sia partita dal governo stesso, mettendola in una posizione scomoda e aggravando ulteriormente i suoi rapporti con Palazzo Chigi.
L’ultimo affronto: la nomina di Figliuolo
Un altro nodo cruciale è stato il mancato sostegno a una delle scelte strategiche di Belloni: la nomina di Nicola Boeri, un uomo di sua fiducia, come vice dell’Aise. La decisione del governo di nominare invece Francesco Paolo Figliuolo avrebbe alimentato ulteriormente le tensioni, facendo emergere sospetti di scarsa riservatezza nei confronti del Dis e di alcuni suoi esponenti.
Conclusioni
Il caso Belloni rappresenta un segnale inquietante per il governo Meloni, evidenziando non solo tensioni interne ma anche una gestione problematica dei rapporti con figure di alto profilo istituzionale. Con l’addio di Belloni, il Dis si trova ora ad affrontare una transizione difficile in un momento cruciale per la sicurezza nazionale.
I prossimi giorni saranno decisivi per comprendere se la frattura tra la premier e l’ex capo dei servizi segreti avrà ulteriori ripercussioni politiche o se si riuscirà a ricucire lo strappo, almeno formalmente.