Un esperimento di democrazia interna senza precedenti
“Se fossi un iscritto, voterei a tutti i quesiti. Non ricordo, in Italia ma non solo, un’altra forza politica che si sia affidata totalmente alla base per decidere regole, nome, simbolo, programma, collocazione e alleanze. E non per finta: davvero.”
Marco Travaglio apre il suo editoriale evidenziando l’unicità del processo avviato dal Movimento 5 Stelle. “Parlando con diversi parlamentari 5S li ho trovati tutti atterriti dalla scelta di Conte – se folle o coraggiosa, lo sapremo domenica – di consegnare l’intero destino del Movimento (e quello suo personale) prima a 300 iscritti sorteggiati e poi agli 89 mila tesserati. Senza rete né paracadute.”
Un processo audace, che comporta rischi elevati, ma che al contempo rappresenta un’occasione irripetibile per la base: “Sarebbe bizzarro se qualcuno vi rinunciasse: dopo 15 anni a parlare di democrazia diretta, nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire l’occasione di contare qualcosa, per poi magari lamentarsi di non contare nulla.”
Il programma: il cuore del rilancio
“Sono quasi tutte ottime le proposte su pace, lavoro, sanità, scuola, ricerca, ambiente, giustizia, evasione, cultura, informazione, beni comuni, e andranno integrate con battaglie ancor più drastiche e dirompenti.”
Secondo Travaglio, i punti programmatici rappresentano il vero motore del rinnovamento, al di là delle polemiche su simbolo e regole interne. “Bisogna fregarsene dell’accusa di populismo e spingere su riforme come l’abolizione dell’immunità parlamentare, lo stop ai soldi pubblici ai media, la cacciata dei partiti dalla Rai e dalle Asl, il ritorno alla sanità pubblica nazionale sottratta alle regioni e alle convenzioni con i privati.”
E suggerisce una strategia chiara: “Tutte riforme da fissare in disegni di legge prima delle elezioni, per sottoporle agli aspiranti alleati come condizioni per eventuali patti di governo.”
Nome e simbolo: dettagli ma non secondari
“Nessuno tocchi le 5 Stelle, che come ogni marchio di fabbrica di successo non vanno cambiate.” Tuttavia, Travaglio apre alla possibilità di aggiungere due parole che richiamino il popolo e il cambiamento radicale: “Gli elettori snobbano destra e sinistra e votano chi parla al popolo per cambiare.”
Collocazione politica: “Progressisti indipendenti”
“Il dibattito sul M5S di sinistra o né di destra né di sinistra serve a poco e interessa a pochissimi.” Travaglio plaude alla scelta di Giuseppe Conte di definire il Movimento “progressista” nella carta dei valori: “Progressismo oggi è cambiare in avanti per seguire i tempi nuovi e possibilmente anticiparli, conservando il poco da salvare e cancellando tutti i passi indietro fatti dal 2021 da Draghi&Meloni.”
Tra le tre opzioni al voto degli iscritti, Travaglio preferisce la definizione di “progressisti indipendenti”: “La peggiore è ‘di sinistra’, nobile concetto tradito e violentato da troppi abusivi per significare ancora qualcosa.”
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Alleanze: dipende da chi e per cosa
“Sarebbe assurdo vietarle ‘a prescindere’, così come renderle obbligatorie: dipende con chi e per fare cosa.” Travaglio ribadisce l’importanza di accordi pragmatici, sul modello del contratto di governo che ha caratterizzato sia il Conte-1 (con la Lega) sia il Conte-2 (con il Pd).
Tuttavia, mette in guardia dai rischi di un legame permanente con il Partito Democratico: “Se il Pd fosse quello di Zingaretti, pronto a mettersi in discussione, sarebbe giusto provarci; se è quello della Schlein, che vota per la guerra, le armi, il condono salva-grattacieli, Fitto e la commissione Ursula tutta bellicismo e austerità, e imbarca pure Renzi, alla larga. Meglio l’opposizione.”
Per le elezioni locali, Travaglio suggerisce un approccio flessibile: “Dipende dal candidato e dai compagni di strada: con una Todde o una Proietti, sì a occhi chiusi. Con un Orlando o un Lorusso, mai nella vita: a costo di saltare un giro.”
Classe dirigente e mandati: verso un modello più flessibile
“Giusta l’idea che non bastino più i clic delle primarie online: chi si candida deve seguire la Scuola di formazione.”
Sul tema dei mandati, Travaglio critica il limite rigido dei due mandati: “Ciò che era un vantaggio è diventato un handicap che ha costretto i 5S a combattere con le mani legate dietro la schiena.”
Propone un approccio più equilibrato: “Un limite è giusto per evitare che si bivacchi in Parlamento per 40 anni: 3 o 4 mandati, magari intervallati e in ruoli diversi. Ma non come regola interna: come legge valida per tutti.”
Il garante: “Non ha senso un garante a vita”
Travaglio si oppone all’idea di un garante a vita, come attualmente rappresentato da Beppe Grillo: “Essendo le monarchie assolute tramontate da un pezzo e il Marchese del Grillo un’invenzione comica, un garante a vita, non elettivo e insindacabile non ha senso.”
Propone invece una figura eletta a tempo, eventualmente rieleggibile, con un ruolo attivo: “Potrebbe essere ancora Grillo, se però andasse a votare (possibilmente per il M5S) e facesse campagna elettorale (possibilmente per il M5S).”
Conclusione: un salto nel vuoto ma necessario
Travaglio riconosce il coraggio di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle nel compiere questa scelta. “Un’operazione così audace non l’ha mai tentata nessuno, e per questo sarebbe un peccato non partecipare.”
Il futuro del Movimento resta incerto, ma per Travaglio questa rappresenta un’occasione irripetibile per definire l’identità e il percorso di una forza politica che vuole ancora essere protagonista del cambiamento in Italia.