C’è una piacevole notizia che riguarda i dipendenti statali e a emanarla è stato proprio l’INPS. In questo articolo faremo il punto per quel che riguarda il cosiddetto trattamento di fine rapporto anticipato per i dipendenti pubblici, quindi mettetevi comodi e continuate a leggere.
La speranza per i dipendenti pubblici, e forse più di una speranza, l’ha accesa a sorpresa proprio il presidente uscente dell’Inps Pasquale Tridico. L’occasione è stata la conferenza di “congedo” dalla guida dell’Istituto che sta per essere commissariato dal governo. Tridico durante l’incontro ha spiegato che, il giorno prima, l’Inps ha approvato un bilancio con i fiocchi. L’eredità che lascia al suo successore è un avanzo di esercizio di oltre 7 miliardi e una situazione patrimoniale netta positiva di 23 miliardi. Mai i conti dell’Inps erano stati tanto solidi.
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Tridico ha ricordato il forte avanzo di quest’anno nei conti dell’Istituto e, dunque, ha parlato di un «costo alla nostra portata per pagare i trattamenti di fine rapporto». Del resto, ha spiegato ancora, «è qualcosa che è già entrato nelle nostre casse» e quindi è solo un problema di «anticipazione» delle risorse. I soldi per pagare la liquidazione insomma ci sono.
L’Istituto, inoltre, ha ricordato lo stesso presidente uscente, ha messo in campo uno strumento che permette di anticipare a prezzi calmierati tutto l’importo del Tfs ai dipendenti che ne fanno richiesta. Ma si tratta di una risposta limitata nei fondi e comunque che ha un costo, seppure ridotto solo all’1,5 per cento, per chi ne usufruisce.
Il problema del pagamento posticipato delle liquidazioni ai dipendenti pubblici, oggi è aggravato anche dalla ripresa dell’inflazione. Un conto è infatti, ricevere il trattamento di fine servizio con due o tre anni di ritardo quando i prezzi sono fermi, un conto è riceverlo posticipato con un’inflazione a due cifre. Inevitabilmente si otterrà una somma “svalutata”. Una sorta di “contributo di solidarietà” per tenere in equilibrio la finanza pubblica posto però a carico soltanto dei dipendenti dello Stato.
Ricominciare a pagare immediatamente la liquidazione ai dipendenti pubblici che lasciano il lavoro, dice Tridico, «è un costo alla nostra portata». La risposta non solo non è scontata, ma nella direzione esattamente opposta a quella sostenuta dagli avvocati dell’Inps e dello Stato nell’udienza davanti alla Corte Costituzionale del 9 maggio scorso. La questione delle norme che differiscono fino a 5 anni il pagamento del Tfs ai dipendenti dello Stato, è finita davanti ai giudici supremi grazie alle lunghe battaglie di alcuni sindacati tra cui Unsa-Confsal. Il 9 maggio scorso si è arrivati all’ultimo atto. La Corte deve dire se è legittimo ritardare il pagamento anche a chi è andato in pensione di vecchiaia, ossia una volta raggiunti i 67 anni di età. L’Inps ha spiegato che se i giudici decidessero di dare ragione ai sindacati, l’Istituto dovrebbe mettere a bilancio una spesa di 14 miliardi di euro. Gli avvocati dello Stato hanno paventato il più classico dei buchi nei conti dello Stato e hanno invitato i giudici a tenerne conto.
Un conto è infatti, ricevere il trattamento di fine servizio con due o tre anni di ritardo quando i prezzi sono fermi, un conto è riceverlo posticipato con un’inflazione a due cifre. Inevitabilmente si otterrà una somma “svalutata”. Una sorta di “contributo di solidarietà” per tenere in equilibrio la finanza pubblica posto però a carico soltanto dei dipendenti dello Stato.
Si vedrà nei prossimo giorni quale sarà la decisione della Corte Costituzionale. Quante persone riguarderà la sentenza? Tutti e 3,2 milioni statali in prospettiva. Comunque sia, le pensioni dei dipendenti pubblici liquidate nel 2022 sono state 155.945 con un calo del 9,4% sul 2021 quando era ancora in vigore Quota 100, e gli importi medi sono di 2.064 euro, in aumento del 2 per cento.