LUCA SOMMI asfalta LA FIAT, il governo e gli Elkann a mediaset. IL VIDEO EPICO

La vicenda degli operai di Stellantis, lasciati senza lavoro in un dicembre freddo e incerto, non è solo una crisi economica o un fallimento aziendale: è il simbolo di una mancanza cronica di politica industriale seria e di un’assenza di visione a lungo termine da parte dello Stato italiano. Luca Sommi, durante il suo intervento a “4 di Sera” su Rete4, ha messo a nudo le contraddizioni e le responsabilità di un sistema che ha permesso a un colosso come Fiat – oggi Stellantis – di beneficiare per decenni di aiuti pubblici, per poi trasferirsi all’estero lasciando dietro di sé disoccupazione e sfiducia.

Fiat e Stellantis: una storia di benefici pubblici e delocalizzazione
La Fiat, emblema dell’industria italiana per decenni, ha costruito il suo impero grazie anche ai soldi dei contribuenti italiani. Tasse pagate dai genitori e dai nonni di generazioni di operai, utilizzate per sostenere un’azienda che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio del “made in Italy”. Eppure, dopo aver usufruito di fondi pubblici e aiuti statali, Fiat ha deciso di trasformarsi in Stellantis, una multinazionale con sede legale in Olanda e sede fiscale a Londra. Questo spostamento ha rappresentato non solo un tradimento simbolico, ma anche una perdita concreta per il Paese: meno tasse pagate in Italia, meno investimenti sul territorio e, soprattutto, meno posti di lavoro.

Una politica industriale assente
Come sottolineato da Sommi, il vero problema non è solo la scelta di Stellantis di tagliare i costi e delocalizzare. La radice della crisi sta nell’assenza di una politica industriale seria da parte dell’Italia negli ultimi decenni. Uno Stato che, invece di costruire una strategia per salvaguardare settori strategici come l’automotive, ha preferito inseguire logiche di mercato a breve termine, lasciando le imprese libere di prendere decisioni senza considerare le ricadute sociali ed economiche.

La mancanza di interventi strutturali ha impedito di trasformare Fiat in una sorta di azienda nazionale, capace di garantire stabilità e innovazione. Questo è avvenuto nonostante i miliardi di euro investiti dagli italiani attraverso sussidi diretti e indiretti. Il risultato? Operai in strada, famiglie senza reddito e un territorio impoverito.

L’elettrificazione e il futuro dell’industria automobilistica
Un altro punto fondamentale toccato da Sommi è la necessità di affrontare la transizione verso l’elettrificazione. L’automobile, pur rappresentando una delle tecnologie più diffuse al mondo, non ha subito una rivoluzione tecnologica paragonabile ad altri settori: i motori a combustione interna sono rimasti pressoché invariati da oltre un secolo. Questo immobilismo tecnologico è dovuto, secondo Sommi, a interessi economici e politici che hanno rallentato lo sviluppo di alternative più sostenibili.

Oggi, però, il panorama sta cambiando. La pressione per ridurre le emissioni di gas serra e la crescente scarsità di risorse naturali impongono una svolta radicale. Le auto elettriche e altre tecnologie innovative sono ormai una necessità, non solo per l’ambiente ma anche per garantire la competitività dell’industria automobilistica. Tuttavia, l’Italia è rimasta indietro, senza una strategia chiara per affrontare questa transizione.

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Una lezione da imparare
La crisi degli operai di Stellantis dovrebbe servire come un campanello d’allarme. È tempo che il Paese adotti una politica industriale coraggiosa, capace di proteggere i lavoratori e garantire un futuro sostenibile per l’economia italiana. Questo significa non solo investire in tecnologie verdi, ma anche ripensare il ruolo delle multinazionali che operano in Italia. È necessario chiedere maggiore responsabilità sociale ed etica alle imprese che hanno costruito la loro fortuna grazie al sostegno pubblico.

Conclusione
La vicenda Stellantis è molto più di una crisi aziendale: è il riflesso di un sistema che ha fallito nel proteggere il lavoro e nel pianificare il futuro. Serve un cambio di rotta, che metta al centro non solo il profitto, ma anche le persone e il territorio. Solo così si potrà evitare che altre aziende seguano lo stesso percorso, lasciando dietro di sé una scia di disoccupazione e disperazione.
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