Meloni regala spiagge alla lobby dei balneari: ecco cosa è successo con i soldi del PNRR

Il Fatto Quotidiano svela cosa sta combinando Meloni con le concessioni balneari. C'entrano i soldi del PNRR.

Il Fatto Quotidiano riporta una notizia passata sotto traccia in queste ore. L’Italia starebbe per mettere a gara europea le spiagge libere. L’onorevole Bonelli dei Verdi ha chiesto di conoscere il carteggio, finora non pubblico, tra il governo italiano e la Commissione europea, relativo alla mancata attuazione della direttiva Bolkestein per quanto riguarda la messa a gara europea delle concessioni demaniali delle spiagge, per cui è in corso una “procedura di infrazione”. La soluzione di Salvini e Meloni sarebbe quella di non toccare le concessioni in atto e mettere a gara le concessioni riguardanti solo le spiagge libere. Come dire: i singoli che già guadagnano da tempo sui beni in proprietà collettiva demaniale non possono essere toccati, mentre la stragrande maggioranza del popolo, che ha ancora a disposizione le pochissime spiagge libere, può essere privato anche di queste.

Ennesimo schiaffo ai cittadini

Secondo il Fatto, sia Salvini, sia la Meloni, non hanno tenuto presente quanto sancisce la nostra Costituzione per l’utilizzazione dei beni demaniali, quali sono le spiagge. La verità è che si continua a ragionare, purtroppo anche da parte di giuristi, secondo gli schemi dello Statuto albertino e del codice civile, emesso sotto la vigenza di quello Statuto, senza pensare che la Costituzione repubblicana ha elevato a intoccabile “diritto fondamentale”, la “proprietà pubblica” del popolo, incidendo profondamente sull’istituto delle “concessioni demaniali”.

Al riguardo è da ricordare che il “demanio” nacque nel Medioevo, quando l’Imperatore Federico II si accorse che i beni di uso comune, come le strade, i porti, le spiagge, ecc., erano cadute nel “dominium utile” (una sorta di proprietà privata) di singoli soggetti, che ne avevano impedito l’uso collettivo, e, servendosi del proprio “dominium eminens” (una sorta di superproprietà), attrasse quei beni nel proprio dominio individuale (il “demanium”), restituendoli all’uso collettivo, con un “atto ampiamente discrezionale” avente, diremmo oggi, valore legislativo: il “Liber Constitutionum”, emanato a Melfi nel 1231. E, ovviamente, i “beni demaniali” furono individuati con una espressa elencazione tassativa. La stessa situazione si è ripetuta nel vigente codice civile, emanato sotto la vigenza dello Statuto di Carlo Alberto, secondo il quale i “beni demaniali” sono beni “inalienabili, inusucapibili e inespropriabili”, che appartengono allo “Stato persona”, “soggetto singolo”, detentore della sovranità.

Ed è sfuggito, senza che nessuno tentasse una interpretazione costituzionalmente orientata, che, con l’avvento della Costituzione repubblicana, lo Stato ha cambiato natura, non è più una “persona giuridica” singola, ma un “soggetto plurimo”, il popolo, al quale è passata la proprietà del “demanio”, una proprietà che per appartenere a una pluralità di soggetti, non può più seguire lo schema della “proprietà privata”, ma deve essere definita una “proprietà pubblica” (una “proprietà collettiva demaniale”, notò il Giannini), come sancisce l’articolo 42 della Costituzione, affermando che “la proprietà è pubblica o privata”.

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