Il governo Meloni continua a subire una serie di sconfitte sul tema dei migranti, questa volta a causa delle decisioni della magistratura italiana, che ha bocciato nuovamente il controverso decreto sui “Paesi sicuri.” La più recente sentenza del Tribunale di Catania ha dichiarato che l’Egitto non può essere considerato un “Paese sicuro,” annullando così il trattenimento di un migrante egiziano deciso il 2 novembre dalla questura di Ragusa. Questa sentenza, firmata dal presidente della sezione specializzata nella Protezione internazionale Massimo Escher, sottolinea l’inadeguatezza del decreto governativo e l’importanza del diritto europeo nella valutazione dei “Paesi sicuri”.
Le motivazioni giuridiche dietro la bocciatura
Il decreto “Paesi sicuri” era stato introdotto dal governo italiano per cercare di velocizzare il processo di gestione dei richiedenti asilo, in particolare destinandoli verso centri di accoglienza situati in Albania. Tuttavia, tale decisione si scontra con una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre, che stabilisce criteri rigidi per la designazione di un paese come “sicuro”. Secondo la Corte, un paese può essere definito tale solo se garantisce sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali su tutto il suo territorio e per tutte le persone che vi risiedono.
Nella sentenza del Tribunale di Catania, il giudice Escher ha ribadito che la giurisdizione sul tema appartiene ai giudici, non al governo, poiché solo i tribunali hanno la facoltà di interpretare le normative europee in materia di asilo e diritti umani. Nel caso specifico, il giudice ha deciso che l’Egitto non può essere considerato sicuro, richiamando anche i rapporti del Ministero degli Esteri italiano, che evidenziano gravi violazioni dei diritti umani nel paese, tra cui restrizioni sulla libertà personale, sulla libertà di espressione, sui diritti LGBTQ+ e sulla protezione contro tortura e maltrattamenti.
La battaglia giuridica: i precedenti e le ripercussioni politiche
La decisione del tribunale di Catania è solo l’ultima in una serie di sentenze sfavorevoli al governo Meloni, che già in precedenza aveva visto annullati tentativi simili di applicazione del decreto sui “Paesi sicuri”. Già il 18 ottobre, un tribunale italiano aveva negato la convalida del trattenimento di 12 migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, rimandati in Albania dal governo. Secondo i giudici, il decreto non può avere valore su un piano superiore al diritto europeo, che è chiaramente contrario alla classificazione di quei paesi come “sicuri”.
Queste sentenze evidenziano un divario crescente tra il governo e la magistratura italiana, aggravato dalla critica che esponenti della coalizione di governo, in particolare il vice-premier Matteo Salvini, hanno rivolto ai giudici, accusandoli di essere “comunisti” e di intralciare i tentativi di proteggere i confini nazionali. Tuttavia, tali attacchi si rivelano inefficaci nelle aule di tribunale, dove prevalgono invece le normative dell’Unione Europea e i diritti fondamentali dei migranti.
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La reazione della società civile e le prospettive future
Questa serie di sconfitte giuridiche solleva preoccupazioni e divisioni anche nella società civile. Mentre alcune organizzazioni umanitarie e giuristi lodano l’intervento della magistratura come garanzia del rispetto dei diritti umani, altre frange dell’opinione pubblica sostengono le misure del governo, percependole come una risposta necessaria per gestire l’afflusso di migranti.
Di fronte alle limitazioni imposte dalla magistratura e dalle norme europee, il governo Meloni si trova a dover considerare nuove soluzioni, ma il margine d’azione è ristretto. Qualsiasi tentativo di implementare misure sui migranti senza rispettare le sentenze europee potrebbe infatti innescare ulteriori contenziosi legali e compromettere i rapporti con le istituzioni dell’Unione.
In conclusione, la vicenda dimostra come le questioni migratorie e i tentativi del governo di controllarle si scontrino con vincoli giuridici insormontabili, sia sul piano nazionale che europeo. La recente sentenza del tribunale di Catania rappresenta un ulteriore capitolo nella complessa gestione dei flussi migratori in Italia, evidenziando che il rispetto dei diritti fondamentali rimane prioritario rispetto alle scelte politiche dei singoli governi.
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