Il recente scoop de Il Fatto Quotidiano ha scatenato un acceso dibattito politico e mediatico in Italia. La divulgazione di una chat privata in cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, definisce “infami” alcuni suoi colleghi di partito per non aver appoggiato la candidatura di Marco Marini alla Corte Costituzionale, ha scatenato reazioni contrastanti. Una delle più dure viene dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, che ha criticato apertamente l’uso di questo linguaggio, definendolo espressione di un’autorità reazionaria e pericolosa.
Montanari, conosciuto per il suo impegno civile e le sue posizioni nette sulla politica italiana, ha affermato: “Fa impressione l’uso della parola infame. Questo non è il linguaggio di una comunità politica, ma quello di un capo che reagisce rabbiosamente quando non viene obbedito. È un uso violento delle parole, che esprime una concezione tribale della politica”.
Il riferimento di Montanari alla parola tribale va a toccare una corda profonda nella storia politica italiana, richiamando alla memoria un certo tipo di autoritarismo che si rifà a dinamiche di comando e obbedienza. Montanari non ha esitato a collegare questo tipo di linguaggio a forme di pensiero che, a suo avviso, ricordano il fascismo. “Tutta questa cosa qua ha un nome, ed è fascismo”, ha sentenziato, collegando l’episodio ad una concezione della politica personalistica e dominata dalla figura del leader indiscusso.
In un intervento che ha destato molta attenzione, Montanari ha poi continuato: “Queste parole svelano come si pensa e come si sente. Quando ci si esprime in privato emergono le vere convinzioni, e ciò che Meloni ha detto denota una visione della politica che è profondamente intrisa di una retorica del capo, della sua mistica, e della necessità di essere obbedito senza discussione”.
Montanari ha anche fatto riferimento a Marco Marini, la cui candidatura alla Corte Costituzionale ha suscitato diverse perplessità: “Marini non è certo un outsider, ma il figlio di un ex presidente della Corte Costituzionale. Questa vicenda non riguarda la meritocrazia, ma è piuttosto uno scontro di potere interno, e l’uso di un linguaggio del genere rende ancora più chiaro quanto autoritaria sia questa dinamica”.
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L’intervento di Montanari trova eco nelle parole di Bersani, ex parlamentare che ha voluto sottolineare il rischio di una sindrome da Calimero all’interno del partito della Meloni: “Non vorrei che adesso, arrivati al potere, questi esponenti di Fratelli d’Italia si isolassero, pensando di poter fare tutto da soli. Non funziona così”. Il riferimento alla sindrome da Calimero – simbolo del vittimismo – si rifà alla difficoltà del partito di gestire il passaggio dall’opposizione alla guida del Paese.
In conclusione, questa vicenda sembra svelare crepe all’interno della coalizione di destra e portare alla luce una visione della politica che molti criticano come personalistica e autoritaria. Montanari non ha risparmiato critiche dure a una leadership che, a suo dire, non sembra essere all’altezza della Costituzione e dei valori democratici che dovrebbe rappresentare.
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