Morte Napolitano, la reazione di Alessandro Di Battista: “Il peggiore tra…” Ecco cosa ha detto – VIDEO

Alessandro Di Battista ha deciso di fare un video dopo la notizia della morte di Giorgio Napolitano. Ecco cosa ha detto: “Ho aspettato qualche giorno per fare questo video. Per rispetto, sì, per la morte, sicuramente. Però quando muore una persona in Italia, sembra sempre che se ne debbano celebrare le gesta. Penso che uno dei mali del nostro Paese è che noi dimentichiamo tutto. Oggi vi parlo di un uomo di cui non ho rispetto politicamente, Giorgio Napolitano. È stato sempre dalla parte del potere, la caratteristica comune della sua storia politica è la ricerca del potere e di assecondarlo. Tanto che non c’è stata partecipazione da parte del popolo italiano ai funerali di Stato. Anzi, sono stati pure fischiati. Non la morte, non il lutto, ma la storia politica di Napolitano”.

Come già espresso in una precedente diretta con il fratello di Paolo Borsellino, per Dibba “Sono morti (Napolitano e Messina Denaro) coloro che avrebbero potuto dire, coloro che sapevano i più reconditi segreti sulla trattativa stato mafia”. Ma che c’entra Napolitano con la morte di Paolo Borsellino?

L’ex Capo dello Stato, ormai lo saprete, era ricoverato da tempo ma le sue condizioni si erano complicate negli ultimi giorni. Nato a Napoli il 29 giugno del 1925 è diventato Presidente della Repubblica (all’epoca iscritto al Pci) il 15 maggio del 2006. Si può portare rispetto per la morte. Ma così come era avvenuto dopo il decesso dell’ex Premier Silvio Berlusconi, Di Battista e Borsellino non hanno partecipato al ricordo in pompa magna del grande mainstream.

Non vi sono dubbi che passerà alla storia come una delle figure più controverse della storia italiana.
Nel 1978, in pieno sequestro Moro, fu (grazie all’intercessione di Andreotti, così come fu pubblicato da Wikileaks) il primo comunista italiano ad ottenere un visto per gli Usa. Non un caso se si pensa che Henry Kissinger lo ribattezzò come il suo “comunista preferito”.

Certo è che da quel momento avrà inizio un certo scivolamento servile di una parte della sinistra italiana alle privatizzazioni e alcuni poteri per ottenere in cambio una legittimazione politica.
Ex presidente della Camera e ministro dell’Interno nel governo Prodi, è stato il primo Presidente della Repubblica ad essere eletto per due mandati consecutivi; figura osannata, se non ‘adorata, dalla grande stampa, quasi con reverenza; considerato dal Parlamento un ‘intoccabile’, al pari di un monarca.

Basti pensare al Savoiagate, l’inchiesta cominciata il 16 giugno 2006, arrivata ai mass media quando l’allora pm di Potenza Henry John Woodcock chiese e ottenne l’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia (indagine poi chiusa con l’assoluzione).
In concomitanza con le indagini, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiese al CSM il fascicolo personale di Woodcock. Se è vero che sono le circostanze a dare un senso alle azioni, allora siamo autorizzati a pensare che quello fu il primo tassello di una più ampia operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione nei confronti di quei magistrati che, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno esercitato in maniera indipendente l’azione penale senza distinzione di ‘casta’.

Napolitano e la trattativa Stato-Mafia

Il caso più eclatante avvenne il 16 luglio del 2012 quando Napolitano sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti contro la procura di Palermo che, nell’ambito dell’indagine Trattativa Stato – Mafia condotta in quel momento dai pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene (successivamente subentrarono Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia, ndr) intercettò il capo dello Stato al telefono con l’allora ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, al tempo indagato dai magistrati della procura di Palermo per falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995 (Mancino è stato poi assolto nell’ambito del processo Trattativa, ndr).

Il suo interlocutore al Quirinale preferito era il consigliere giuridico Loris D’Ambrosio.
Quelle chiamate tra il capo dello Stato e l’indagato sulla trattativa Stato-mafia rimasero incise sulle bobine della Dia. La notizia dell’esistenza di quelle intercettazioni finì sui giornali e la reazione del Colle non si fece attendere. Sin da subito la Procura di Palermo, trascinata nel mentre davanti alla Corte Costituzionale, ha chiarito che quelle intercettazioni, indirette e casuali, erano state ritenute non rilevanti ai fini del procedimento e come tali non utilizzabili ma il Colle ne chiese comunque la distruzione scavalcando il binario ordinario indicato dal codice di procedura penale (art.269, 2° comma del c.p.p). Così, il 22 Aprile 2013, dopo la sua rielezione al Quirinale, Giorgio Napolitano ottenne la distruzione di tutte le conversazioni.

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