Un provvedimento giudiziario che avrebbe dovuto rafforzare il diritto di difesa si è trasformato in un inaspettato lasciapassare per i malviventi. È accaduto ad Ascoli Piceno, dove un presunto narcotrafficante tunisino, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare, è riuscito a lasciare l’Italia grazie a un dettaglio procedurale introdotto dalla recente riforma Nordio. La norma, entrata in vigore lo scorso agosto, obbliga i giudici a notificare preventivamente ai sospettati l’intenzione di arrestarli per consentire loro un interrogatorio prima dell’applicazione delle misure cautelari. Il 37enne tunisino, accusato di gestire un rilevante traffico di eroina, non ha esitato: ricevuto l’avviso, ha abbandonato il territorio nazionale e ora è latitante.
L’episodio di Ascoli Piceno
Secondo la Procura, l’uomo coordinava un’importante rete di distribuzione di eroina nelle Marche, rifornendosi da Roma e Castel Volturno tramite auto a noleggio. L’11 dicembre era stato convocato per l’interrogatorio, ma non si è mai presentato. Il sospetto è che abbia trovato rifugio in Tunisia, dove le autorità italiane non possono facilmente raggiungerlo. A confermare l’accaduto è stato un comunicato del procuratore capo di Ascoli Piceno, Umberto Monti, che ha spiegato come la nuova normativa abbia reso inevitabile notificare l’intenzione di arresto.
Il tunisino non è l’unico: anche un’altra cittadina tunisina, destinataria di un obbligo di firma, si è resa irreperibile. Al contrario, due arresti sono stati portati a termine, ma solo perché i soggetti interessati si trovavano già in custodia.
Le criticità della riforma
La riforma Nordio è stata introdotta con l’obiettivo di garantire un maggiore equilibrio tra accusa e difesa, prevedendo che per i reati non violenti il sospettato venga prima convocato per un interrogatorio. Tuttavia, questa innovazione presenta delle lacune. Infatti, il cosiddetto “avviso di arresto” non si applica ai reati considerati di maggiore allarme sociale (mafia, terrorismo, violenze sessuali), ma include altre tipologie di crimini, come il traffico di droga, salvo che si tratti di ingenti quantitativi.
Come sottolineato da molti esperti, il traffico di stupefacenti è un’attività altamente mobile: avvisare un indagato della possibilità di arresto offre un chiaro vantaggio strategico ai criminali, che possono facilmente fuggire prima che le autorità intervengano. Il caso di Ascoli è emblematico, ma non unico.
La denuncia degli addetti ai lavori
Già prima dell’entrata in vigore della legge, molti operatori del settore avevano messo in guardia contro le possibili conseguenze della norma. I critici sostengono che la misura sia stata pensata principalmente per garantire un trattamento più clemente ai “colletti bianchi”, ma che il risultato si stia rivelando un boomerang, favorendo anche criminali comuni.
A peggiorare il quadro, l’esclusione dell’obbligo di preavviso per il rischio di fuga non è stata prevista per tutti i reati legati al traffico di droga. Secondo la Cassazione, infatti, la definizione di “ingente quantità” necessaria per evitare l’avviso si applica solo a sequestri di centinaia di chili di sostanze. Questo dettaglio ha permesso al narcotrafficante tunisino di sfruttare la normativa a proprio vantaggio.
LA DENUNCIA DI CONTE:
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Una norma da rivedere?
Il governo aveva promesso che la riforma avrebbe garantito una maggiore equità, ma la sua applicazione concreta sta sollevando dubbi sulla reale efficacia. Il caso di Ascoli potrebbe rappresentare un punto di svolta, spingendo verso una modifica della legge. L’obiettivo dichiarato di tutelare il diritto alla difesa non deve infatti trasformarsi in uno strumento per agevolare la fuga dei criminali.
Nel frattempo, il presunto narcotrafficante tunisino rimane irreperibile, e le autorità italiane sono costrette a fare i conti con i limiti di una normativa che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rappresentare un progresso, ma che nei fatti si sta rivelando una sgradita sorpresa per la giustizia.