Ci sono importanti novità che riguardano le pensioni e in particolare quelle a cui auspicano in futuro i nostri giovani. Tra le novità del governo ci sono bonus contributivi per coprire i buchi previdenziali, riscatti super-agevolati della laurea, un nuovo round di silenzio assenso per destinare i fondi del Tfr alla previdenza complementare. Insomma, sulle pensioni Giorgia Meloni ha sparigliato le carte (meglio tardi che mai). Per settimane il dibattito si è concentrato su come alzare gli assegni minimi ad almeno 700 euro di chi è già in pensione, o di come aiutare ad anticipare l’addio al lavoro per chi ha quasi raggiunto i requisiti con il rinnovo di Quota 103 o l’avvio di Quota 41 cara alla Lega.
Ebbene, tra le quattro priorità della prossima manovra di Bilancio, invece, accanto a lavoro, sanità e famiglia, il Presidente del consiglio ha sì pronunciato la parola «pensioni», ma poi ha aggiunto «per i giovani». Per capire cosa c’è nei programmi del governo, bisogna fare un passo indietro, alla prima audizione parlamentare dell’attuale ministro del Lavoro, Marina Calderone. «Dobbiamo garantire», aveva detto in quella occasione, «la tenuta del sistema ed evitare il manifestarsi di una bomba sociale nei prossimi decenni». Un allarme passato sotto traccia, ma che da tempo è finito in cima alle preoccupazioni del governo. Il mese scorso il Consiglio nazionale dei giovani, insieme a Eures, ha pubblicato una ricerca dal titolo: «Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani».
I dati pubblicati da Il Messaggero lasciano poco spazio all’ottimismo. Chi ha meno di 35 anni, rischia di dover aspettare di compierne 74 per poter andare in pensione. E una volta lasciato il lavoro avrà un assegno da fame, mille euro netti al mese in media. A qualcuno, in realtà, potrebbe andare pure peggio. Basta sfogliare i dati puntualmente pubblicati da Itinerari Previdenziali, il think tank guidato dall’ex sottosegretario al welfare Alberto Brambilla. Oggi ci sono 755 mila pensioni pagate con il regime contributivo puro, ossia con una pensione calcolata soltanto in base ai contributi versati durante l’arco della propria vita lavorativa. L’età media di pensionamento è di 71,2 anni e l’assegno medio mensile di 368,15 euro. La maggior parte delle pensioni contributive, oltre 520 mila, sono nella gestione dei lavoratori parasubordinati, i precari insomma. E in questo caso l’età media di pensionamento è di 75 anni e l’assegno di soli 233,11 euro medi mensili.
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Il problema è che nel sistema contributivo non esiste l’adeguamento al minimo che, per esempio, oggi fa sì che la pensione non possa scendere sotto i 572 euro (600 per gli over 75). Il problema, insomma, è come fare in modo che una volta andati in pensione, gli attuali giovani, non si ritrovino con assegni da fame. Le soluzioni sul tavolo sono diverse. Al ministero si lavora ad alcune misure per coprire i «buchi» contributivi. Le carriere oggi sono spesso discontinue. E questo incide ovviamente sia sull’età del pensionamento che sull’importo dell’assegno. Lo Stato potrebbe intervenire per coprire questi buchi con una contribuzione a suo carico. Un progetto era già stato predisposto durante il governo Draghi e prevedeva per ogni anno di laovoro 1,5 anni di contribuzione con un riconoscimento, dunque, di sei mesi in più. Un’altra strada è quella della «pensione di garanzia», una sorta di adeguamento al minimo per chi è nel sistema contributivo. Molto dipenderà dalle risorse che saranno messe a disposizione per questo capitolo dal ministero dell’Economia. Il confronto sul tema è in corso.
Sempre nell’ottica di aumentare i periodi di versamento contributivi l’idea è quella di favorire il riscatto dei periodi di studio. Ci sono alcuni corsi che solo recentemente sono stati riconosciuti come laurea, come per esempio la scuola per interpreti. In tutti questi casi dovrebbe essere data la possibilità di riscattare il periodo di studio anche a coloro che lo avevano frequentato prima del formale riconoscimento come percorso universitario. Così come dovrebbe essere assicurata la possibilità di coprire con i contributi anche altri tipi di formazione oggi sganciati dall’assicurazione obbligatoria. Ma misure sono allo studio anche sul fronte della staffetta generazionale, la possibilità cioè di trasformare negli ultimi anni di lavoro il tempo pieno in part time (a parità di contributi) permettendo il ricambio generazionale. Nel pacchetto, comunque, rimarrebbero comprese anche le misure per gli attuali “pensionandi”, ossia Quota 103 e il rafforzamento di Ape sociale e Opzione donna.