Ci sono brutte notizie per il governo Meloni e non solo per quel che riguarda il record di sbarchi in Italia. Sul fronte della Rai, infatti, si registra un momento complicato. Delude, riporta Repubblica, il debutto di TeleMeloni. Battuta da Mediaset nel giorno dell’esordio. A fare flop sono soprattutto i programmi e i volti del palinsesto autunnale interamente cucinato nei forni sovranisti: Roberto Inciocchi, Caterina Balivo, Annalisa Bruchi. Mentre, a salvare la baracca, ci pensano i conduttori già collaudati come Bruno Vespa, Marco Damilano, passando per Alberto Matano che anche in questi giorni hanno sbaragliato la concorrenza.
Corollario di un avvio, specie nell’informazione, iniziato piuttosto male: a tre mesi dall’insediamento dei nuovi direttori, gli ascolti dei Tg Rai sono crollati. “Il peso complessivo dei quattro notiziari del servizio pubblico scende la sera dal 64 al 63% e dal 66 al 64% nelle edizioni dalle 13 alle 14,20, Tgr inclusi”, spiega il professor Francesco Siliato, mago dei numeri dello Studio Frasi che ha messo a confronto i dati Auditel dal 4 giugno al 9 settembre con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso.
Tra l’altro in queste ore è intervenuto pure Maurizio Mannoni, ex volto di Linea Notte, a dire la sua sulla nuova Rai. Dice di essere diventato «un assiduo neo-frequentatore di giardinetti». Dove porta la sua nipotina in seguito alla sua rimozione. Ma lo storico conduttore di Linea Notte su Rai3, riporta Open, vive con un misto di dispiacere e sconcerto quello che sta diventando viale Mazzini. «Come spettatore posso dire che fatico a riconoscere il servizio pubblico. E come me tanti di quelli che incrocio e mi chiedono: ma che cosa sta succedendo?», dice oggi a Giovanna Vitale che lo intervista per la Repubblica. Quello che lo impressiona è «la delusione, la disaffezione di una fetta consistente del pubblico».
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Mannoni: "La Rai non la riconosco più"
Il conduttore spiega che si tratta di «un processo che non è cominciato adesso, ma che i vertici attuali mi pare abbiano aggravato. La fidelizzazione è un’operazione lunga e complessa: troncare di netto con conduttori e programmi che avevano una loro identità, un seguito, un certo appeal può sembrare facile – togli un po’ di roba che c’era prima e ne metti un’altra, badando solo alla fedeltà politica – ma rischi moltissimo». La lottizzazione, aggiunge Mannoni, di per sé non è una novità. . «Ma prima nel bene e nel male alcuni spazi venivano preservati: Rai3, anche nell’epoca berlusconiana, ha continuato a esistere pur fra mille difficoltà. Ora invece cosa resta? Sì, c’è il Tg3 che continua ad avere una linea e autonomia, ma poi poco altro».
Secondo Mannoni così si finisce per favorire la concorrenza: «Se tu non offri più un prodotto interessante per una fetta di pubblico, che fra l’altro è quello più legato alla Rai, e questo pubblico trasmigra altrove, è un problema». Il conduttore si riferisce in particolare «a quella parte di Rai3 che non esiste più, senza fare nomi. In generale mi sembra estinto il modo di raccontare la realtà che per molti anni ha caratterizzato il servizio pubblico. Il quale ha il dovere di offrire un’alternativa allo spettatore, la possibilità di ascoltare le vicende quotidiane – a partire dalla politica – con diverse sfaccettature, culture, modi di ragionare e di pensare. Il tentativo di uniformare la televisione a un pensiero unico era già iniziato e adesso è stato completato».
Per sottrarsi, Mannoni consiglia di guardare «Mentana, Floris, o anche Porro. In Rai, tranne Vespa, accade raramente di vedere qualcosa di non omologato, conduttori di grande personalità». Mentre sui tg «c’è un appiattimento che gli ascoltatori colgono e perciò cambiano canale. Ormai sono così tante le fonti di informazione che fai presto a perdere il tuo pubblico». Per Mannoni «Si può anche cambiare, a patto di offrire una nuova narrazione con lo stesso appeal e risultati: se la gente ti guarda meno forse quella che proponi è ritenuta insufficiente e distorta. Fossi in loro, qualche domanda sulle scelte fatte per allineare la Rai alla maggioranza di governo, me la farei».