La Cassazione ha emesso la sentenza per quel che riguarda la vicenda del padre di Matteo Renzi nei confronti di Marco Travaglio.
La Cassazione ha emesso la sentenza per quel che riguarda la vicenda del padre di Matteo Renzi nei confronti di Marco Travaglio. Come riporta oggi Il Fatto, la Cassazione ha annullato e rinviato in Corte d’appello la sentenza che aveva dato ragione a Tiziano Renzi nella causa intentata contro Marco Travaglio per alcune affermazioni fatte nel corso di una puntata di Otto e mezzo nel marzo del 2017 e in particolare sul caso Consip. Va sottolineato che Renzi aveva vinto in primo grado perché la controparte (Travaglio) era “contumace” per mancanza di notifica dell’atto di citazione. La sentenza era stata poi confermata in appello perché a Travaglio era stato impedito di far valere la sua difesa. Non essendosi costituito in primo grado, infatti, il giornalista aveva omesso – secondo la corte – di “invocare l’esimente del diritto di cronaca o critica e, conseguentemente di fornire la prova della veridicità del fatto narrato” ed era troppo tardi per farlo in appello, secondo i giudici.
La decisione della Cassazione
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In quella puntata del marzo 2017 Travaglio aveva risposto a una domanda di Lilli Gruber così: “Se il padre del capo del governo si mette in affari o si interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo, magari a beneficio di imprenditori che finanziano o hanno finanziato il capo del governo, questo non so se sia un reato, questo è un gigantesco conflitto d’interessi“. Parole che per la Corte d’appello erano state “demolitive sul fronte etico, politico e della dignità personale” dei Renzi. Per questo era stato disposto un risarcimento di 50mila euro.
La Cassazione, invece, accogliendo il ricorso degli avvocati Caterina Malavenda e Antonio Sigillò, ha stabilito che “l’esistenza o meno della scriminante del diritto di cronaca o di critica integra una eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio a prescindere dalla specifica e tempestiva allegazione della parte e anche in Appello”. In sostanza i giudici avrebbero dovuto valutare autonomamente se le dichiarazioni di Travaglio “integrassero il legittimo esercizio del diritto o di cronaca”. Qualche tempo dopo la sentenza di primo grado Renzi aveva festeggiato l’offensiva legale nei confronti del Fatto e di Travaglio dicendo che con quei soldi si sarebbe pagato “almeno tre-quattro rate del mutuo della casa”. “La chiamerò ‘Villa Travaglio’” aveva detto riferendosi alla sua abitazione da oltre un milione.