Romano Prodi avverte: “Se l’Italia non approva il salario minimo…” Ecco cosa ha detto nell’intervista a La Stampa

In questi giorni si è tornati a parlare di salario minimo. In particolare è stato intervistato l’ex presidente del consiglio Prodi da La Stampa. Che ha detto che “se non si approva il salario minimo, l’Italia deve vergognarsi”. E ancora: “Se noi non garantiamo sei euro netti all’ora a chi lavora, perché questo sono i 9 euro lordi, siamo un Paese che deve vergognarsi di se stesso”, ha aggiunto Prodi.

L’ex leader del PD sottolinea come questa soglia sia “al di sotto del minimo vitale per una persona che deve vivere”. Un chiaro invito al governo di accettare la proposta delle opposizioni che introdurrebbe un salario minimo di 9 euro l’ora: ipotesi su cui Giorgia Meloni ha rinviato ogni decisione chiedendo un parere al Cnel. Per Prodi non ci sono dubbi: in caso di mancata approvazione del salario minimo a 9 euro l’ora l’Italia dovrebbe “vergognarsi”. L’ex presidente del Consiglio sottolinea che “la criminalizzazione, i blitz, sono misure occasionali che servono a colpire l’opinione pubblica. Quando invece si tratta di fare un cambiamento di sistema, come il salario minimo, la destra arretra”. Bene, quindi, che le opposizioni di centrosinistra abbiano trovato unità sul tema. Con l’eccezione di Matteo Renzi che, però, secondo Prodi, “non fa parte del centrosinistra: lui stesso si è chiamato fuori”.

Prodi prosegue nel suo ragionamento sul salario minimo: “Ho letto tutti, giuristi, sindacati e faccio un ragionamento molto semplice: se noi non garantiamo sei euro netti all’ora a chi lavora, perché questo sono i 9 euro lordi, siamo un Paese che deve vergognarsi di se stesso. Siamo al di sotto del minimo vitale per una persona che deve vivere. Non tiriamo fuori finezze giuridiche o interessi particolari. Limitiamoci a constatare che con meno di così si muore”. Insomma, per Prodi non ci sono dubbi: il governo dovrebbe accettare le richieste dell’opposizione e introdurre un salario di almeno 9 euro l’ora che garantirebbe la dignità dei lavoratori.

Romano Prodi sul salario minimo

Per Romano Prodi, inoltre, “Il problema è ripensare la politica. La tesi principale del libro di Cagé e Piketty, un’opera di quasi 900 pagine, assomiglia a un’idea che ho in mente da tempo sul grande problema della sinistra. In Europa abbiamo, come in tutto il mondo, una separazione psicologica oltre che politica tra la parte urbana e la parte rurale. In Italia potremmo definirle la parte del centro e quella della periferia, non necessariamente rurale. Noi siamo portati a pensare che la sola differenza rilevante sia quella tra ricchi e poveri. Differenza importantissima, ma non sufficiente a spiegare le diversità dei comportamenti. Faccio un esempio emiliano: il voto del Pd domina fino a 4 chilometri a sud e 4 chilometri a nord della via Emilia, ma perde in città ricchissime come Sassuolo e Mirandola. La tesi dice: attenzione, la sinistra non ha saputo unire le due Italie. Come in Francia, anche nel nostro Paese la protesta di chi vuole il cambiamento nell’Italia periferica prende una direzione diversa rispetto a chi esprime le stesse esigenze nelle aree centrali. Il riformismo diviso non può mai vincere” spiega.

E conclude con: “Gli scontenti, quelli che vogliono maggiore giustizia sociale, si dividono tra gli scontenti della periferia e quelli del centro. L’Italia è molto più periferia che centro e quindi è chiaro che se la sinistra non rimpasta le istanze, la destra non potrà che prevalere. Ho in mente uno strano meccanismo. Prendere le 15 parole di cui discutiamo a tavola, droga disoccupazione pace salari e così via. Quindici parole che rappresentano le ansie di tutti. Le fai discutere in rete da persone sagge, anche non di partito. Una parola alla volta, ogni settimana. Il sabato il segretario va in una città simbolica e, in presenza, apre la discussione. Quindici settimane dopo hai pronto lo schema di programma. Questa è la democrazia, sentire il popolo. A un secolo dalla mia campagna elettorale incontro ancora persone che mi dicono: “Grazie perché a pagina 93 del programma dell’Ulivo c’era quello che ho detto a Brindisi…”. O si fa una ricostruzione dal basso o non c’è niente da fare. Quando a Cesena ho parlato di radicalismo dolce intendevo che bisogna agire con la fatica della convinzione, ma per fare le riforme, non per eluderle”.

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