C’è una notizia riportata dal Fatto Quotidiano che sta facendo indignare gli italiani. Giorgia Meloni, dopo aver fatto le dovute vacanze, andrà all’estero per altri 2 mesi. Si riparte, dunque. Il motivo? lasciarsi alle spalle i problemi italiani. Appena rientrata dalle due settimane di puro relax nella masseria di Ceglie Messapica, la premier Giorgia Meloni ha di nuovo la valigia in mano. Martedì si cena in Grecia, per un bilaterale con il presidente ellenico Kyriakos Mitsotakis.
Appena poche settimane fa Giorgia era partita per le vacanze con figlia e compagno: destinazione Puglia. E «speriamo di avere un po’ di relax» scriveva. Ma certo, il meritato riposo per Meloni. Che non sarà lungo – ci si avvia dopo il consiglio dei ministri di oggi e si torna dopo ferragosto, per essere già operativi lunedì 21 – e non sarà nemmeno di abbiocco totale la villeggiatura del capo del governo. Sia per i colleghi di governo, dai local Fitto e Mantovano a qualche altro compreso Lollobrigida con Arianna (moglie di lui, sorella di lei, super big di Fratelli d’Italia) che l’andranno a trovare tra tuffo in piscina e gelatino sul prato, sia per i dossier dell’autunno che Giorgia la secchiona non lascerà intonsi sul lettino da sole. E se la scorsa legge di bilancio l’aveva preparata per lo più l’uscente Draghi, stavolta alla Finanziaria occorre mettere testa da subito. Per non dire, ma senza esagerare perché è pur sempre un’estate italiana anche per il capo del governo, di tutto il resto che ci sarà da fare alla ripresa dell’attività politica: Mes, salario minimo, giustizia, grana autonomia, sviluppo del Piano Mattei.
Il fatto è che ci sono molti dossier ancora aperti sul tavolo della presidente del consiglio: il Dpcm Tim, tanto per fare un esempio. È il decreto del presidente del consiglio dei ministri che serve per rendere operativo il memorandum d’intesa firmato il 10 agosto tra il ministero dell’Economia e il fondo americano Kkr per presentare un’offerta vincolante al consiglio di amministrazione di Tim per rilevare fino al 20% della Necto, società della rete fissa. C’è poi la questione del caro-carburanti, con le opposizioni in pressing per tagliare le accise, un’ipotesi su cui da tempo si fanno valutazioni su benefici e costi.
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Ma c’è anche una partita di più ampio respiro, in quanto riguarda i nuovi parametri europei per la gestione dei conti pubblici: è il restyling del Patto di stabilità e crescita. In questo caso l’interlocutore di riferimento è l’Unione europea. L’Italia cerca la sponda di altri Paesi per sostenere la sua posizione. Si intuisce così il motivo per il quale martedì 29 agosto la presidente del Consiglio si recherà ad Atene per incontrare il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis. Dal punto di vista della premier, infatti, Mitsotakis può ricoprire un ruolo di pontiere fra il Ppe e il gruppo dei conservatori. Più in generale, la Grecia può essere un alleato dell’Italia, in quanto su tanti temi i due Paesi hanno interessi allineati. A cominciare da quello della pressione migratoria: Roma e Atene – quest’ultima al centro della rotta balcanica – insistono perché la questione sia concretamente affrontata a livello comunitario, dall’Unione europea.
Ma il vero nodo da qui alla fine dell’anno sarà la trattativa nella Ue sui nuovi paletti di bilancio, ovvero la riforma del Patto di stabilità e di crescita. Lo show down sul Patto è atteso a metà settembre con il consiglio informale dei ministri dell’Economia organizzato dalla presidenza spagnola a Santiago di Compostela. L’obiettivo è raggiungere un accordo politico per metà ottobre. Nessun dubbio sulla volontà di tutti di far presto. Gettando il cuore oltre l’ostacolo i 27 hanno già fissato alcuni principi, mettendosi d’accordo di farcela entro fine anno. La riforma mette al centro traiettorie di spesa pluriennali che vanno concordate in anticipo tra il singolo governo e Bruxelles. Peccato che si tratta ora di trovare una sintesi nella solita divisione tra “rigoristi” e “Paesi cicala”. Francia e Germania hanno espresso posizioni divergenti a luglio. Ne è emersa una contrapposizione tra chi osteggia gli automatismi (Parigi) e chi chiede regole certe di riduzione annua del debito (Berlino).